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«Un amore senza fine»

Scott Spencer

(Sellerio, 2015)

Spencer ci ha messo diverse stesure e molti anni per scriverlo ma un lettore medio, garantito, lo finirà in 3 notti (592 pagine). I più bravi, ce ne metteranno una. Pubblicato nel 1979 negli States, Un amore senza fine ha già la forza del classico.

Tra L’Educazione sentimentale di Flaubert e Indignazione di Philip Roth, Spencer narra l’amore come apprendistato romantico (Frederic Moreau) e come iniziazione sessuale (Marcus Messner).

Più giovane del primo e coetaneo del secondo, David è un ragazzino che ha due genitori anziani e che vive stabilmente a casa della fidanzatina Jade. Siamo nel ’67, quindi hippy e libertà sessuale: mentre i ragazzini fanno sesso al piano di sopra, padre e madre ascoltano Joan Baez al piano di sotto. Poi l’innesco narrativo: il ragazzo viene ammonito, per due mesi non si dovrà far vedere lì dentro. Due mesi in fondo non sono molti, ma la sua passione per Jade non conosce soste e men che meno temperamenti. E allora il piano per rientrare nelle grazie della famiglia: dare fuoco a un pezzo della veranda; sedare l’incendio; fare la figura dell’eroe. Il gioco non riesce, David viene smascherato e rinchiuso in un ospedale psichiatrico. 

Un amore senza fine racconta la storia di un’ ossessione. Perché l’amore è un sentimento che si spende nel presente e che, per esistere, non conosce diverse declinazioni, né passata né futura.


traduzione di Francesco Franconeri


PERCHÉ LEGGERLO?

  1. Perché qui dentro Spencer ha messo tutto (amore, sesso, ossessione, vitalismo, depressione).

  2. Perché leggere Un amore senza fine è come entrare in una bolla spazio-temporale insieme a David Axelroad e Jade Butterfield.

  3. Perché raramente una storia con plot di questo tipo, è scritta così tanto da dio.

CONSIGLI

Per nessuna ragione al mondo, guardare i due film tratti dal romanzo. Né quello americano di Shana Fest (2014) né quello di Zeffirelli (1981)

2

4321
Paul Auster
(Einaudi, 2017)

Paul Auster racconta la storia di Archie Ferguson, figlio di ebrei trapiantati in America, e lo fa seguendo il più classico stilema del romanzo americano, quello irriso da Holden Caufield (se volete che vi racconti della mia famiglia e di tutta quella roba là scordatevelo). Sceglie di partire non da una, ma da due generazioni precedenti e da una simpatica storiella su nonno di Ferguson. Eppure 4321 è l’esatto contrario del classico romanzo americano.

D’accordo non è stato il primo a farlo. C’è almeno E non è subito sera di Jenny Erpenbeck, quello prima di Voci del verbo andare (premio Strega Europeo 2017). Ma nessuno l’aveva fatto così. L’idea è costruire una narrazione assorbendo le ultime acquisizioni della fisica teorica e della filosofia del sé, o almeno, è chiaro, la percezione di queste acquisizioni. Più o meno: unisci la teoria delle Stringhe con la logica hegeliana, scrivici un romanzo, e quello che otterrai è 4321 di Paul Auster. L’idea base è che un individuo si configura come atto speso e, allo stesso tempo, come tutto il carico di possibile latente non consumato. In una formula: io = (+io) +(-io). Perché ogni momento è occasione di una scelta, che sia consapevole o no. Perché ogni minuto è una Sliding door che ti porta altrove.

In un’intervista alla Paris Review – che più che un’intervista è una sorta di confessione –, Auster stacca queste frasi: «tutto quello che posso fare è parlare della meccanica della realtà, raccogliere testimonianze di quello che succede nel mondo e cercare di registrarle nella maniera più fedele possibile». La meccanica della realtà. Era il 2003, ma Auster lasciava già parlare alla sua letteratura il lessico della fisica.


PERCHÉ LEGGERLO?

  1. Perché sono ottocentosessantasei pagine (nell’edizione originale della Faber & Faber) e, si sa, i mattoni sono per l’estate

  2. Perché è il capolavoro che, probabilmente, era fin qui mancato alla pur brillante carriera di Auster. Una roba tipo Underworld per DeLillo o Corri Coniglio di Updike.

CONSIGLI
Tempo di lettura massimo: 3 settimane.

traduzione di Cristiana Mennella

3

«Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?»
John Harstad
(Iperborea, 2011)

«La persona che ami è fatta per il 72,8% d’acqua e non piove da settimane». Incipit perfetto. Johan Harstad, giovane astro della letteratura norvegese contemporanea. Aveva già scritto una raccolta di racconti e questo è il suo romanzo d’esordio. È uno di quei casi tipo Damien Chazelle, che gira il primo film e gli esce Whiplash.

Dentro Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?  c’è una storia d’amore, una d’amicizia, una di perdita, una di riconquista, e una che attraversa tutto il romanzo, tra un ragazzino e il suo mito, un astronauta.

Ma non l’idolo delle masse – Neil Armostrong – il primo uomo ad aver messo piede sulla luna. No, invece Mattias adora il secondo, Buzz Aldrin. Quello di cui ci si ricorda soltanto di rado, quello che è stato almeno tanto grande quanto il primo in termini di abilità e talento ma che solo per un mero incidente è passato per essere secondo. Perché non tutti vogliono essere il numero uno e come dice quella canzone dei Radiohead che a Matias piace ascoltare, per alcuni la perfezione è capire come sottrarsi alla visibilità (how to disappear completely). Che poi non si tratta proprio, come cantano i Radiohead, di una oscurità totale (completely). Ma piuttosto di quella abissale forma di saggezza che fa preferire il non riuscito al realizzato, il potenziale all’avvenuto. In termini calcistici, la perfezione di colpire il palo piuttosto che ottenere un gol.


PERCHÉ LEGGERLO?

  • perché è un esordio
  • per le immagini che Johan Harstad utilizza.

CONSIGLI

Da comprare cartaceo.
La verticalità degli Iperborea è una sensazione non colmabile da alcun e-reader.

traduzione di M. V. D'avino

4

«L’amore è potere o almeno gli somiglia molto»
Igoni Barrett, 

(66thand2nd)

Che questa sia l’epoca del rinascimento del racconto è cosa ormai assodata.  Perciò la domanda da porre è: perché proprio questa raccolta?

Perché Igoni Barrett ha il cervello di un architetto ed il cuore di un poeta. Possiede lo sguardo razionale per gli spazi – te lo immagini che sta lì e si disegna la mappa della casa, dove va il divano, di qua la stanza di lei, poi il corridoio, le mensole, poi la stanza di lui –  e l’intensità emotiva per percorrerli a fianco ai suoi personaggi. In lui si sente l’indulgenza dello scrittore, la tenuta del plot tipica dello sceneggiatore, l’analisi sentimentale del poeta. È in uno dei racconti più riusciti – La ragazzina con i seni in boccio e la risata di gomma da masticare –  che tira via una frase del genere.
A parlare è un narratore in terza schiacciato dietro le spalle del protagonista, un ragazzino innamorato della cugina di quindici anni più giovane:

«Aveva segreti e brufoli, sbalzi d’umore e giorni senza zucchero».

Non è una frase che getti così. C’è tutto uno studio preciso. La prima coppia è costruita sull’antinomia immateriale/materiale (tipico di una certa scrittura asciutta, minimalista, alla quale Barrett in parte si accorda) e la seconda sull’antinomia ordinario/straordinario. A dirla tutta, poi, c’è anche un sottotesto causale incrociato tra il primo polo e il terzo, il secondo e il quarto. I segreti sono la causa degli sbalzi d’umore e i brufoli il sogno, il desiderio realizzato, dei giorni con zucchero (che allo stesso tempo, con tutta evidenza, funzionano da metafora per un tipo particolare di intermittente felicità.

È un linguaggio sempre referenziale quello di Barrett, che però all’ultimo rompe la sua referenzialità. Come in questo passaggio:

Buongiorno.

Lei ruotò su sé stessa per guardarlo. Il viso gonfio di sonno, la tenerezza , la mancanza di affettazione del suo sorriso fecero divampare in lui il desiderio di chinarsi e baciarla fina o a consumare le labbra (e qui Barrett fa la finta di essere retorico, schiacciando la referenzialità in un'immagine trita).

’giorno, disse lei, le parole smorzate da un grosso sbadiglio rosa (con «sbadiglio rosa» rompe la referenzialità, facendo scivolare il linguaggio in una abissale stratificazione testuale)


PERCHÉ LEGGERLO?

  • perché dopo Culo Nero (il suo primo romanzo), A. Igoni Barrett si conferma una delle voci più forti della letteratura nigeriana contemporanea
  • perché il libro – dalla scelta della carta alla copertina, dalla gabbia all’interno rosso delle bandelle e alla numerazione della pagine (una sorpresa) – è l’ennesimo prodotto, proprio in termini tattili, irresistibile tirato fuori dalla 66thand2nd.

CONSIGLI

I primi tre racconti da leggere sono i tre finali, in ordine inverso: 

  1. Una storia di tira e molla a Nairobi
  2. Godspeed e Perpetua
  3. La ragazzina con i seni in boccio e la risata di gomma da masticare

traduzione di Michele Martino

  1. 5

Berta Isla
Javier Marías
(Einaudi, 2018)

C’è sempre qualcosa di enigmatico nella scrittura di Javier Marías. Se Walter Benjamin diceva delle foto di Atget che erano sempre scatti sulla scena di un delitto, allora ogni frase di Javier Marías, ogni riga di Javier Marías, è una confessione d’amore.
Per quell’eccesso che la sua scrittura possiede, per quel suo ritmo, quel giro di frase, per le volute e il suo fare così ellittico e ricorsivo.

In un’intervista lo scrittore madrileno (e madrilista) ha sostenuto che probabilmente, oltre al padre spirituale Juan Benet, questo suo modo di procedere gli è arrivato dal padre vero, quello biologico, il padre filosofo. Ha raccontato che la più forte eredità che gli ha lasciato è stata di non bastarsi mai, chiedere ancora una volta perché, sempre di nuovo, e quando pensi che la frase sia arrivata, che il concetto non possa più essere ulteriormente aperto, quando tutto è dispiegato sotto i tuoi occhi, allora è il momento, ancora una volta: perché.

Molta critica ha sostenuto che Berta Isla è un libro strano all’interno della costellazione letteraria di Marías e forse uno dei migliori. Perfino al pari di Domani nella battaglia pensa a me e Il tuo volto domani. Superiore sicuramente a Gli innamoramenti e al vecchio L’uomo sentimentale. La singolarità sarebbe che si fonda su un più spesso basamento di trama. In parte è la verità. Ma continua a non essere questo il motivo per cui si legge Javier Marías.

Berta isla è la storia di Tomas Nevinson, un agente dell’MI6, e di sua moglie Berta.
La storia di un segreto che ciascuno custodisce dentro di sé.
La storia di un amore speso e vissuto nell’oscura stanza sentimentale. Lì dove ci porta allegoricamente Javier Marías e dove ci chiede di restare.
Perché per amarsi, non è necessario conoscersi.


PERCHÉ LEGGERLO?

  • Perché di Javier Marías va letto tutto
  • Perché non tutta la letteratura appartiene al Midwest americano.

 

CONSIGLI

Da centellinare. Dopo Marías sarà dura trovare altro che regga il confronto.

Traduzione di Maria Nicola

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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