La bassissima ricchezza presta il fianco al disprezzo di tutti, specie nell’ambiente “sacro” della manifestazione nazional-popolare per definizione che è Sanremo, esaltazione del politicamente corretto che però nella dialettica che struttura il concetto stesso di spettacolo contempla anche la sua stessa negazione, ovvero il politicamente scorretto come momento disinnescato e ammansito.

Perciò l’esibizione di Achille Lauro non può venire paragonata a quella di tanti altri artisti indie, rap, trap che quest’anno come gli anni passati hanno calcato quel palco: la sua performance può essere affiancata probabilmente solo all’esibizione di Vasco Rossi di Vita spericolata del 1983. Come ha sostenuto all’epoca Pier Vittorio Tondelli in difesa del cantante, si trattò di violare l’altare sacro di Sanremo col profilo di un diseredato, un alieno quasi capitato per caso da quelle parti, che scompaginò le carte in gioco come Domenico Modugno tanti anni prima di lui. Oggi, l’alieno cambia forma: non può più essere il trasandato villano simil-punk, perché tale profilo è stato ben integrato dall’immaginario dominante come negazione della negazione, nella logica del realismo capitalista teorizzata da Mark Fisher.

Oggi la spirale dialettica è ben più sofisticata: la negazione passa e deve passare per il parossismo e per l’eccesso, lo spettacolo deve diventare iper-spettacolo piuttosto che non-spettacolo. In questa attivazione iperbolica, la spirale raggiunge l’acme del consumismo iperspettacolarizzato (paillettes Gucci, sfrontatezza rock, mitologia del postmoderno) e contemporaneamente l’esatto opposto, ovvero l’atto della rinuncia dei beni materiali da parte di San Francesco, l’icona per eccellenza della negazione del consumismo edonista postmoderno. Così il santo fa capolino tra le immagini che popolano i social del cantante, sostituendosi al suo stesso profilo o sovrapponendosi a esso.

Il simbolo di quella che Giorgio Agamben ha definito “altissima povertà” si traduce in “bassissima ricchezza”, bassa perché vile, esageratamente materialista e consumista; l’esatto opposto della forma di vita monastica dell’ordine francescano, perché alimentata dall’immaginario dello star-system pilotato e direzionato dai grandi brand multinazionali e dalle griffe dell’alta moda. È a questo punto che il San Francesco di Giotto assurge a icona di riferimento della nuova star musicale italiana, operando un atto di blasfemia assoluto: i ritratti fotografici di Lauro, iperbarocchi e manieristi, hanno lo stile che David LaChapelle aveva già adottato per altre icone pop come Michael Jackson.

Lo star-system in quanto ri-sacralizzazione e ri-mitizzazione dell’assolutamente profano; si tratta della pratica tipica dell’arte di LaChapelle, che viene applicata all’immagine di Achille Lauro il quale però compie un’ulteriore capovolta dialettica al limite della vertigine assoluta: Me ne frego, titolo del brano, è un atto eretico assoluto non perché riferito al ventennio fascista ma perché è la traduzione verbalmente sguaiata del gesto di rifiuto di San Francesco. Tutto questo avviene però in una ri-sacralizzazione di secondo grado: Achille Lauro non è veramente nudo, la tonaca abbandonata sul pavimento dell’Ariston non è la veste monacale, ma sono tutti capi Gucci firmati dal fashion designer acclamato a livello internazionale Alessandro Michele. L’outfit griffato è parte della performance, che simula l’esatto ed estremo opposto di ciò che rappresenta e che incarna economicamente e feticisticamente: se i Ricchi e Poveri e in generale Sanremo sono la sacralizzazione del profano, Achille Lauro rappresenta la profanazione del sacro e oltre, perché al di là dell’oltraggio instaura subito una rinnovata sacralità.

Credit photo @Gogo Magazine e @Assisi oggi

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