Il dicembre 2018 di Netflix ha visto l’uscita di due dei suoi titoli più chiacchierati di sempre, seguitissimi dal pubblico e criticatissimi dagli esperti: Bandersnatch, episodio interattivo della fortunata serie di Charlie Brooker, Black Mirror, e Bird Box, lungometraggio thriller diretto dalla regista danese Susanne Bier. Entrambi appartengono, seppur in maniera diversa, ad un filone di produzione cinematografica e seriale (di grande successo negli ultimi anni) di genere post-apocalittico e distopico. Ovviamente, in questo caso, la distopia pende tutta a favore del film con protagonista Sandra Bullock, avendo invece Black Mirror intrapreso, dall’ultima stagione, percorsi più ottimisti. In che senso dunque queste due produzioni Netflix possono essere accostate tra loro?

Perché si tratta di due diversi approcci al visivo. In Bandersnatch guardare corrisponde alla possibilità di scegliere. La vista sfonda la parete della passività, tipicamente sensoriale, e diventa creativa: lo spettatore, sovrano ipertrofico della contemporaneità, guarda una vicenda personale, una vita, e con quello stesso sguardo si spinge finanche a decidere per essa. Non è casuale il fatto che Bandersnatch sia un videogame, laddove il “gioco visivo” è propriamente il “manipolabile”. In realtà, questa autonomia sovrana è illusoria, un gioco appunto, è semplicemente “sceneggiata”, già scritta, ma proprio per questo risulta essere emblematica: nel primato storico della vista risiede la primordiale esigenza di controllo, quindi di libertà (da intendere nell’accezione più individualistica, egoistica, del termine).

La filosofia peraltro ha sempre assegnato al visivo un valore preminente rispetto agli altri quattro sensi. Le stesse idee platoniche, caratterizzate dal loro esser separate dal mondo sensibile, erano gli “eide”, termine che deriva da “eidon”, letteralmente “io vidi”. Nell’idea, termine fondamentale della storia del pensiero, c’è dunque una qualche componente visiva. E non è solo l’etimologia a fornircene una prova: nel sistema platonico, l’idea più “visiva” di tutte, la bellezza, era quella che più di tutte concorreva alla reminiscenza delle altre idee. In qualche modo, la Verità passa per la vista. E se in Bandersnatch la verità visiva è quella del controllo, dell’idea come concetto (in tedesco “begriff” da “begreifen”, “afferrare”), in Bird box la verità visiva è la più originaria “aletheia”, quello “s-velamento” tanto caro a Martin Heidegger.

A proposito di verità come “s-velamento”: in Bird box, i pazzi sembrano essere gli unici ad esser usciti indenni dall’incontro con le misteriose entità. Si pensi al ruolo di cui si sono auto-investiti in questo scenario post-apocalittico: mostrare a tutti ciò che essi stessi chiamano “verità” e che essi stessi definiscono “bellissimo”. E per farlo, sollevano bende, tolgono veli, spalancano gli occhi altrui. Bird box ha per questo il merito di slegare la vista dal paradigma del controllo e restituirla a quello della verità. Si tratta di una verità appunto non-concettuale, semplicemente “bella”. Tanto bella da apparire mostruosa, orrenda alla vista, impossibile da vedere (e nel film gli apocalittici antagonisti non vengono mostrati mai).

Inoltre, tale verità mostruosa è ovunque nello spazio aperto, una Medusa amplificata alla totalità e dalla quale l’unico riparo possibile è costituito dalla dimensione del focolare domestico, del “privato” che sa mantenere una distinzione sostanziale col “fuori”. L’epoca attuale dell’immagine-ovunque porta esattamente al venir meno di questa distinzione nell’illusione di un controllo onnipotente: il privato è sovra-esposto, messo in vetrina, diviene addirittura “storia” su Instagram. In questo modo il mostruoso è edulcorato, risulta apparentemente disciolto e la soglia non è più individuabile. Quale può essere allora, in quest’epoca, il terrore distopico maggiore se non che proprio il vedere, il passaggio attraverso gli occhi, si riveli, in ultima istanza, la fonte di distruzione dell’umano?

Il vedere razionale è sempre stato, e lo è oggi più che mai, un’esigenza umana. È l’esigenza dell’idolo, di una rappresentatività che sappia mediare, che sappia ridurre Dio alla mia altezza, che sappia porre il Vero a portata di mano. Bird box mostra invece esattamente il crepuscolo degli idoli, ed essendo questi ultimi coincidenti con la stessa soggettività, tale crepuscolo non può che corrispondere a un immediato svuotamento della propria esistenza e al suicidio come sua perfetta messa in scena. Il Vero dunque rende pazzi, perché svuota la pretesa di potere da parte dell’uomo antropocentrico, riduce il controllo all’impotenza, la razionalità che afferra all’irrazionalità che contempla. Per sopravvivere al crepuscolo bisogna farsi ciechi, bendarsi, escludere la vista rispetto alla totalità del “fuori”.

Una cecità perfettamente consona invece al privato esteso alla totalità tipico dell’epoca dei social networks. Instagram è stato invaso, nelle ultime settimane da centinaia di video in cui molti ragazzi hanno imitato, con risultati tragicomici, le imprese della Bullock, tentando di seguire un percorso alla cieca. È la Bird box challenge, nient’altro che un ulteriore escamotage per aggirare la consapevolezza della propria esistenza come sopravvivenza “alla cieca”.  Ma come sarebbe possibile, del resto, superare il paradigma del controllo finché ci sarà un occhio che guarda, sia anche quello sul dorso del proprio smartphone?


 

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