Secondo gli aborigeni australiani non era tanto una questione di rapporto sessuale se volevi rimanere incinta. Perché si credeva che un Antenato mentre passeggiava per il paese cantando, spargesse a destra e sinistra una scia di nomi. Li cantava e li appoggiava lì, sul terreno e sui campi.
Quando poi una donna avesse calpestato uno di quei nomi, quello sarebbe saltato su, si sarebbe arrampicato sull’unghia dell’alluce e, dopo essersi aperto un varco nel callo del piede, si sarebbe installato nel grembo fecondando il feto.

Per quanto il mito sia un’«assurdità», come non manca di rilevare Bruce Chatwin in Le vie dei canti, dà conto dell’importanza dei nomi, qualcosa di più di un semplice orpello, qualcosa di più di una semplice indicazione. Notoriamente la riflessione sul linguaggio risale la notte dei tempi, dal Cratilo di Platone alla disputa medievale sul nominalismo, per arrivare a Wittgenstein, ai logici e via discorrendo.

Ma è qualcosa che non è sfuggito nemmeno a Graziano Delrio, che nel giorno della fiducia al governo rimprovera l’attuale presidente del consiglio Giuseppe Conte per essersi dimenticato il nome di Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia la prima domenica del gennaio 1980 dentro una Fiat 132.

Conte ha sostituito il nome, il nome proprio, con il termine «congiunto».
Il punto non è tanto la dimenticanza – ad ogni modo difficilmente scusabile –, il punto è che è la sostituzione nome comune per nome proprio a essere impropria.
Perché, cosa cambia se uso un nome piuttosto che un altro?

Platone è stato il primo geologo del linguaggio. Scavando scavando, aveva capito che un nome è fatto di almeno tre strati:

  • strato di materia fonica
  • strato di idea del nome
  • strato di idea della cosa da nominare

Certo poi lui è convinto che ci sia proprio un tizio, un esperto, un professionista del settore, che si mette lì e costruisce i nomi. La cosa oggi fa sorridere ma non è così strampalata come il senso comune induce a pensare. Fatto sta che per Platone, uno che sì è vissuto molto tempo fa ma che, insomma, potrebbe pure essere ancora ascoltato insieme a Conte e Delrio, un nome non è un’etichetta da incollare. Un nome possiede un suo spessore geologico. E all’interno di questa sua composizione c’è l’essenza della cosa che nomina.

In termini psicanalitici dare il nome proprio, il nome corretto, sarebbe il primo passo da compiere per rendere il bambino, per la prima volta, se stesso e altro. È quando il bambino è chiamato, quando cioè si sente chiamato, che capisce di essere qualcosa di diverso dal resto. Vale a dire: il nome crea la (mia) realtà.

Piersanti, Piersanti. Perché l’ha ripetuto per ben due volte Graziano Delrio? Non è un fatto di pignoleria, è che se non nomini correttamente, se sbagli sinonimia, se non chiami col suo nome qualcosa o qualcuno, te lo perdi proprio per strada.
Uno dei giochi tipici di Totò, uno dei più riusciti, era esattamente quello di storpiare i nomi, causando la stizza – crescente – del malcapitato: Trombetta/Trombone, Lo Turco/ Granturco e via discorrendo.
È una questione di mondo.
E di etica per chi quel mondo lo abita.

Credit foto: pagina Facebook Graziano Delrio


 

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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