Quieta è la notte, riposano le vie,

In questa casa abitava il mio tesoro;

Da lungo tempo ella ha lasciato la città,

Eppur la casa sta allo stesso posto. 

C’è pure una persona e fissa in alto,

E torce le mani, per violento dolore;

Io provo orrore, quando ne scorgo il volto –

È il mio sembiante che la luna mi mostra.

Tu sosia! Tu cereo compagno!

Che ti scimmiotti a fare il mio cruccio d’amore,

Che proprio qui mi ha causato tormento,

Più di una notte, in epoca lontana?

 

Questo, nella traduzione di Anna Maria Curci, è il testo di un lied musicato da Schubert scritto da Heinrich Heine, Der doppelgänger, vocabolo tedesco traducibile con ‘sosia’. Il protagonista del componimento si imbatte nel suo doppio nel ricordo della persona amata. Un fantasma d’amore che provoca orrore alla vista e con il quale si materializza un tormento mai sopito. Qualcosa di simile succede anche ai protagonisti di Curon, serie originale di Netflix (Indiana Production), ultima tra quelle realizzate in Italia a uscire sulla piattaforma. Quello del doppio è il tema centrale del racconto, evidente sin dalla scena iniziale dell’omicidio della madre di Anna, uno dei protagonisti della serie. Un tema reso esplicito di puntata in puntata. La natura dell’uomo è duplice, ci sono due entità contrapposte che rispondono a forze contrarie e istinti diversi. Un io buono e il suo empio doppelgänger che si contendono il controllo del sé. La rabbia, la frustrazione, il senso di colpa soffiano sul fuoco del doppelgänger. Come nel lied di Schubert anche in Curon i doppelgänger si manifestano spesso come un tormento d’amore: Lukas viene insidiato dal suo doppio per un amore non corrisposto, Albert dopo essere stato lasciato da Anna e Klara dopo aver scoperto il tradimento del marito Albert proprio con Anna.

L’idea romantica dell’amore qui si scontra con i suoi risvolti più oscuri. Nei primi due casi il doppelgänger si manifesta in età tardo-adolescenziale (nel terzo la sua comparsa prova a mettere fine a un amore di gioventù). Lo scivolamento del punto di vista e del ruolo da protagonista da Anna ai suoi figli Daria e Mauro è immediato e rivelatore. Curon ha i tratti di un teen drama, seppur con le tinte del sovrannaturale, seguendo una tendenza che si è palesata con le altre produzioni originali di Netflix targate Italia (Summertime, Luna nera, Baby o Skam Italia, la cui quarta stagione è stata co-prodotta dal colosso dello streaming). Ecco che in Curon si parla di scoperta di sé e di identità; ognuno che deve fare i conti con la complessità di questo percorso che in alcuni personaggi porta, appunto, a uno sdoppiamento di caratteri. Un viaggio nell’adolescenza (con le sue ‘prime volte’) che porta con sé un altro motivo ricorrente del genere, ovvero l’incontro/scontro con i genitori.

Ma gli adolescenti non sono un target esclusivo della serie, come spiega Tommaso Matano, uno degli autori di Curon insieme a Ezio Abbate, Giovanni Galassi e Ivano Fachin: «Possiamo definirla una serie multigenerational. Di certo il punto di vista principale è quello di un gruppo di adolescenti; i personaggi sono dei teenager ed è quella l’età cardine della scissione identitaria, ma le esperienze che vivono non sono circostanze adolescenziali in senso stretto né la storia che li vede coinvolti è propriamente schiacciata su un target teen. È più che altro un racconto sull’adolescenza non esclusivamente per adolescenti. La dinamica relazionale, il contrasto con i genitori è qualcosa che può interessare anche gli adulti. Sono due piani che stanno insieme».

Seppur simile ad altri prodotti targati Netflix, Curon rappresenta comunque una novità sul fronte della nuova serialità televisiva italiana: «Abbiamo cercato di recuperare un genere con il quale all’estero si erano già misurati ma che in Italia, quanto meno in una produzione destinata a un pubblico molto ampio, non aveva trovato spazio. Il mistery ci ha permesso di sviluppare un racconto che potesse essere fruibile in tutto il mondo benché, almeno in parte, connotato culturalmente. Se pensiamo ad alcuni elementi caratterizzanti come le relazioni e i legami familiari o la vita di provincia, facciamo riferimento a temi riconoscibili, ai quali uno spettatore italiano è abituato ma che comunque trascendono qualsiasi confine inseriti in una storia universale e dai risvolti sovrannaturali», continua Matano.

Per i cultori della serialità televisiva moderna il termine doppelgänger non è certo una novità. È parte del racconto di Twin Peaks, la serie che ha fatto compiere il salto di qualità alla fiction televisiva. Oltre a questa si possono ritrovare echi di altri prodotti televisivi e cinematografici, «sicuramente Les revenants ma anche il nuovo horror del cinema americano come i film di David Robert Mitchell e Ari Aster o A quiet place di John Krasinski con cui Curon condivide la centralità della famiglia».

Se in Twin Peaks la malvagità dimorava in un universo immaginario, qui in Curon, l’antitesi bene/male rinvia all’opposizione emerso/sommerso. La fonte del male è il lago di Resia, un lago artificiale sorto nel 1949 con la costruzione di una diga. Per realizzarlo si dovette spazzare via il paesino di Curon che fu ricostruito un po’ più a monte. L’unica costruzione non distrutta è la chiesa di Sant’Anna (il nome della protagonista della serie), sebbene restituita al paese con un edificio moderno (ed ecco il ritorno del doppio). Dal lago spunta il suo campanile e la leggenda vuole che nei giorni di vento si odano i rintocchi delle sue campane. Nella serie sono presagio di sciagura anticipando la riemersione del male, la comparsa del doppelgänger.

Dalla cartolina del lago altoatesino la genesi della serie: «La primissima suggestione – aggiunge lo sceneggiatore – è arrivata dall’immagine del lago e del campanile e da questa abbiamo avviato le ricerche e quindi sviluppato la storia. La prima idea è dunque legata alla sommersione e al rimosso, e successivamente si sono affiancati i riferimenti alla tradizione folkloristica, ai suoi riti e alle leggende locali che rimandano ai contrasti che attraversano la serie, come quello tra natura e cultura e tra bene e male».

La leggenda del suono delle campane è il pretesto che si lega alla maledizione dei protagonisti. L’unico argine al dilagare del male è la fede, incarnata in particolare dalla figura di Ober, una sorta di custode della vecchia Curon, simbolicamente rappresentata proprio dal campanile che emerge dal lago. Il contrasto fra la maledizione e il suo antidoto lo si può individuare anche nel corredo simbolico della scenografia, ad esempio nella contrapposizione fra l’insistente presenza dei crocifissi e le teste degli animali imbalsamati alle pareti, un’idea di morte, esseri inanimati ai quali, in qualche modo, è restituita la vita.

Folklore e spiritualità si legano poi nella leggenda dei krampus, esplicitamente citati in Curon. Nel periodo natalizio in alcuni paesini dell’Alto Adige sfilano degli uomini mascherati da demoni per spaventare i bambini cattivi. La tradizione risale a una leggenda secondo cui dei ragazzi si aggiravano nei villaggi per depredarli. Ma tra loro si confuse davvero il diavolo e così fu necessario l’intervento di San Nicolò per smascherare e cacciare Satana: «Un esempio della commistione tra il sacro e la ritualità pagana – ricorda Matano – che rinvia al contrasto fra bene e male e che porta con sé l’idea del controllo del male, dell’addomesticare, un altro tema forte della serie», ricorda infine Matano.

 

Foto: © Netflix

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