A un anno esatto dalla disfatta elettorale del 4 marzo, il Congresso del Partito Democratico esprimerà una nuova leadership, inaugurando un nuovo corso. Tra i candidati figura un trentenne, laureato in filosofia, praticamente sconosciuto. Dario Corallo milita da sempre nelle fila del centro-sinistra e ha passato l’infanzia – ci dice – tra sezioni di partito e feste dell’Unità. Sogna un PD che torni a guardare al popolo esule della Sinistra e per farlo sostiene l’azzeramento degli attuali vertici di partito. Visto dunque non esattamente di buon occhio dai suoi stessi dirigenti, Corallo è pressoché ignorato dalla stampa e dai social, dunque dall’opinione pubblica.

Fino a ieri, quando #DarioCorallo diventa un hashtag rovente su Twitter. E non per improvviso consenso plebiscitario, anzi. All’Assemblea del PD del 17 novembre, in dodici minuti di intervento, Corallo presenta ufficialmente la sua candidatura. Non risparmia attacchi, non lesina sferzate ad un modello politico, per lui, inappropriato. E per farlo esemplifica: nei confronti di chi pone dubbi e richieste, il PD si comporta come “un Burioni qualunque”, “bulleggiando” il “99%” del popolo che non rientra nell’”1%” dei “migliori”. Burioni non resta con le mani in mano e risponde, “blastando” Corallo. I followers e i fan del virologo innescano la consueta shitstorm e a nulla servono le difese, le argomentazioni o le dichiarazioni del giovane candidato: Dario Corallo è improvvisamente “diventato” un novax, un criptogrillino della peggiore specie, uno contro la scienza. Ma cosa pensa davvero Corallo della scienza e della divulgazione? Cosa intendeva davvero tirando in ballo quel “Burioni qualunque”? Cosa c’entra il PD con Burioni e i “blastatori”? Lo abbiamo chiesto, pensate un po’, proprio a Dario Corallo.

Allora Dario, iniziamo dalla scienza. Crediamo che una distinzione fondamentale sia quella tra “scienza” e “comunicazione della scienza”. Burioni sostiene che “la scienza non è democratica” e che dunque la “comunicazione della scienza” debba procedere tramite delle “semplificazioni” apposite, somministrate dagli scienziati al pubblico. Tuttavia, come abbiamo già sostenuto qui, la “scienza” è, al suo interno, già democratica, basandosi sul dubbio metodico, l’esperimento e il consenso intersoggettivo (reso possibile dalla condivisione universale degli stessi strumenti razionali di conoscenza). Cosa pensi tu de rapporto tra “scienza” e “democrazia”?

Dario Corallo: Quando si parla di “scienza democratica” credo sia innanzitutto necessario fare una precisazione sul concetto di “democratica”. Molti mi sembra che confondano il concetto di “democratica” con quello di “opinabile”, mentre devono rimanere due concetti distinti. Da appassionato lettore di Kuhn, credo che sia necessario dire che la scienza non è passibile di opinione (e quindi non è opinabile), ma è “democratica” nel senso che chiunque può, nelle modalità necessarie e con i giusti strumenti, metterla in discussione. Quando questo avviene o il modello scientifico in questione supera la crisi rafforzandosi o crolla e si deve lavorare alla creazione di un nuovo paradigma.

La cosa che mi ha sempre appassionato è che lo stesso schema è applicabile alla politica. Quando un’egemonia viene messa in discussione e crolla, vuol dire che era necessario storicamente. Ma per farlo serve qualcuno che metta in dubbio tutto. Diciamo una sorta di Epochè politica.

Un modello “verticale” e “blastatore” di “comunicazione della scienza” sembra essere molto gradito sui social. Non è un caso se la pagina Facebook di Burioni conti 422k di like. Questo successo non rischia però di rappresentare soltanto l’ennesimo fenomeno di “polarizzazione” delle opinioni che, invece di coinvolgere effettivamente le coscienze, rischia semplicemente di dividerle in squadroni di “fans” e “haters”? Se la scienza riguarda il bene di tutti (e lo riguarda!), sembra un rischio molto pericoloso…

Dario Corallo: Ma certo. Questo meccanismo si è ingranato da tempo e va disinnescato. Siamo circondati di persone piene di certezze incapaci di ascoltare. Sentono quello che dici senza ascoltarlo. L’esempio di ieri è lampante: io accuso il partito di aggredire senza ascoltare e di tutta risposta i dirigenti che fanno? Mi aggrediscono senza ascoltare. Credo serva innanzi tutto una rivoluzione umana, una riscoperta di un’empatia e di una somiglianza. Ma è lunga da spiegare…

Questo modello puramente esclusivista/polarizzante, che si afferma attraverso le logiche dei social networks, rappresenta uno degli aspetti più problematici con cui quotidianamente si rapporta la politica. Nel tuo discorso, il riferimento a Burioni è anche (e soprattutto) una esemplificazione del modello comunicativo adottato dal PD. Si sente l’esigenza di passare da un metodo politico che dice “aut…aut”, ad uno che sappia dire “e…e…”, non “o competenza o popolo”, ma “competenza e popolo, competenza per il popolo”. Ma come si fa a sostenere un atteggiamento inclusivo, recuperando, da un lato, i soggetti storici della sinistra (gli ultimi, gli esclusi dalla corsa meritocratica) e contemporaneamente non rinunciare a quell’élite intellettuale e competente che pure da sempre compone il medesimo orizzonte politico, appunto, della sinistra? In altre parole, cosa ti senti di rispondere a chi ti paragona ai “grillini”, attribuendoti un rifiuto della competenza?

Dario Corallo: Lo si fa recuperando la responsabilità della conoscenza. Io credo che la cultura, la conoscenza non siano un merito ma una responsabilità. Io che ho potuto studiare sento sulle mie spalle tutta la responsabilità di rappresentare chi non ha potuto. Allo stesso tempo è mio compito provare a spiegare, senza presunzione e con tanta pazienza, quanto so.

Si dovrebbe, per dirla brevemente, riscoprire la funzione pedagogica della politica. Quando Gramsci fu rinchiuso nel carcere di Turi, lui avrebbe potuto passare il tempo a tramare per uscire di lì. Invece nelle ore d’aria faceva lezione ai carcerati. Di questo sto parlando.

Un tuo pallino, un leitmotiv dei tuoi interventi, è l’aggettivo “democratico” scelto, al tempo, come attributo che definisse il partito nato dalla fusione di DS e Margherita. Come immagini, in una battuta, un Partito che sia oggi “veramente” Democratico?

Dario Corallo: Un partito in grado di coinvolgere chi è escluso. Penso a quei 5 milioni di persone che vivono in Italia, lavorano in Italia, pagano le tasse in Italia, ma non hanno diritto di voto. Parlo degli stranieri regolari che vedono calpestato uno dei principi cardine della società occidentale: quello del “no taxation without representation”.

Penso che essere cittadini non possa essere soltanto mettere una croce su un foglio di carta ogni cinque anni. Vorrei un partito dove tutti possono andare e dire la propria, con le proprie parole, quelle che la vita e la condizione economica ha dato loro, senza essere umiliati. Penso a un Partito che è in grado di restituire senso alla vita alienata del 99% delle persone grazie alla partecipazione politica e, attraverso di questa, ottenere la loro emancipazione economica.


Credit Foto: Profilo Facebook Dario Corallo

Questa intervista è stata realizzata grazie alla collaborazione tra Lorenzo Di Maria e Andrea Ferretti.

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