Carlotta Maggiorana è Miss Italia 2018. Dopo lunghissime selezioni e una lunghissima serata televisiva, la ragazza marchigiana ha sbaragliato la concorrenza e si è imposta sulle sue rivali in bellezza. Chi invece non ha avuto bisogno di passare per le selezioni e la gara è la conduttrice della serata, la “più miss” tra le miss, Diletta Leotta.

Il proto-tipo

Qui si pone la questione più interessante che merita di essere indagata. Secondo i canoni estetici che sono alla base del concorso (giusti o sbagliati che siano è una questione di sensibilità che rimanda alla visione di ciascuno, senza considerare poi le ovvie oscillazioni del gusto), la Leotta è la quintessenza realizzata dell’ideale di miss. Una dimostrazione di ciò è, a livello esemplificativo e non certo esaustivo, la quantità spropositata di meme che la ritraggono protagonista. Diletta è il prototipo del sex symbol al femminile.

E di prototipo si parla non a caso: capelli lunghi e dorati, occhi verdi, pelle liscia, zigomi pronunciati, nasino all’insù, sorriso splendente, altezza, seno prosperoso, girovita “da vespa”, glutei alti e muscolosi, chilometrico stacco di coscia e consapevolezza (sì, anche la consapevolezza rientra nel canone estetico della bellezza ai tempi della comunicazione dell’immagine). Con una conduttrice così a Miss Italia non poteva non realizzarsi un corto circuito estetico.

Il corto-circuito

I social si sono spaccati in due (e non c’è da stupirsi: è la natura stessa dello strumento che lo impone): i difensori più accaniti della siciliana classe ’91 da un lato, e dall’altro quelli che “ma è di silicone!” (sebbene non si abbia certezza alcuna che la Leotta si sia mai sottoposta a interventi di chirurgia estetica). Certo, si dirà: la polemica “genuine vs rifatte” va avanti dagli anni d’oro di Ciao Darwin, ossia da quando le varie tecniche di lifting, botox, et similia si sono diffuse e sono diventate accessibili a chiunque ne voglia fare uso.

Chi decide di ricorrere alla chirurgia estetica lo fa per apparire, a sé o agli altri, più bello. Il risultato, in effetti, va in questa direzione. Esso, tuttavia, genera spesso il suo contrario. La bellezza chirurgica, essendo una bellezza costruita, si espone costitutivamente alla critica della falsità. Il silicone diventa il polo d’attrazione di una semantica connotata dall’idea di “tradimento”, di mascheramento di una presunta mancanza naturale che si nasconde sotto i plasticosi strati di un prodotto culturale. Il caso di Diletta Leotta è emblematico: chi sposa la via culturalistica esalta la bellezza realizzata, chi sposa la via naturalistica rimprovera la non veridicità di tale apparire rispetto a un presunto stato originario privo di modificazioni.

La “nuova” bellezza

Walter Benjamin, nella sua opera più celebre, canta il de profundis dell’arte: nell’epoca contemporanea va progressivamente estinguendosi la possibilità stessa di un’opera d’arte e di quella “aura” che la contraddistingue e la avvolge in un’inspiegabile velo di bellezza. Questa estinzione è dovuta ad un fattore: la riproducibilità tecnica o meccanica. Seguendo questo punto di vista, la costruzione della bellezza attraverso la chirurgia (tecnica) o la palestra (meccanica) diventa una sua regolarizzazione. E si sa: ciò che è regolato diventa stereotipato, omologato, non necessariamente brutto, forse banale, scontato. Eppure la Leotta continua a esser avvolta da aura e a essere percepita come ideale di bellezza.

Esiste dunque ancora un “autentico” che non sia passato già per l’antropico, per un qualche tipo di costruzione? La bellezza cosiddetta “acqua e sapone” è un dono naturale apprezzato in ogni epoca ma è effettivamente una naturalità e non anch’essa una costruzione? Per chi vuole apparire “genuino”, Instagram mette a disposizione un lungo set di filtri col fine di dare una luce diversa ai volti.

Nell’epoca dei social network, dei like, della palestra quotidiana, non c’è identità che non venga costruita artificialmente. L’umanità è sospesa tra incredibili opportunità di autodeterminazione e un’insopprimibile pressione sociale che non ha analoghi in altre società storiche. Ma la bellezza, nonostante Benjamin, continua ad esistere, a esser percepita, a essere un’esigenza umana. La tecnica ne ha senz’altro mutato il paradigma, ma non l’ha sconfitta. Bisogna solo ripensarla nell’ottica delle infinite possibilità attuali di costruzione.

Diletta Leotta indica una via. Per lei, ben riuscita.

Credit photo: Instagram account Diletta Leotta


 

Lorenzo Di Maria è laureato in Filosofia con una tesi sulla fine della storia e del politico in Alexandre Kojève. Ha pubblicato articoli per Globus, Players e Lo Sguardo.

Tagged with: , , , , , , , ,