Stando ai dati IFPI, sono 176 milioni gli account ad abbonamenti di musica streaming. Un fatturato cresciuto del 41,1% rendendo la musica liquida la più ampia fonte di consumo nel panorama musicale.
Di contro scende del 20,5% il reddito proveniente da download legali. Lo spazio aperto tra il +41,1% e il – 20,5% è riempito da un giro d’affari di 14.3 milioni di dollari nel 2017 (dati Nielsen) generato dalla vendita di LP.

Non si tratta di effetto Vintage
D’accordo, il vinile più venduto dello scorso anno è stato un remastered di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts, il secondo la soundtrack di Guardiani della Galassia, cioè una sequenza di buon rock vecchia maniera e il terzo La La Land che, fatta eccezione per John Legend, è pressoché l’archetipo platonico dell’idea di nostalgia. C’è poi la storia dell’atmosfera: il cartonato 30x30, la puntina, il disco che gira.

Ma il punto è un altro. Non è che ogni fenomeno vintage sia di per sé solo ed esclusivamente spiegabile attraverso la causa “fenomeno vintage”. Cioè non è che, nel ricordo, la ragazza che ti piaceva a scuola venti anni fa ti piace oggi (solo) perché era la ragazza di scuola di venti anni fa. Il fatto è che per ogni effetto ci sono aristotelicamente una causa e più concause. Al netto della nostalgia, che non è la causa e che almeno dovrebbe essere sdoppiata in nostalgia vera e propria per gli over 40 e nostalgia del mai vissuto per gli under 40, la rinascita del vinile non è tutta colpa del fenomeno vintage. Da cosa dipende allora?

Il principio ALL YOU CAN EAT
Qui tornano i 176 milioni di account per Spotify, Apple Music e via discorrendo. Su cosa si basa questo successo della musica in cloud? Su quello che potremmo chiamare “principio All You Can Eat” o anche “principio Netflix”. L’idea più allettante della cosa non è, come si potrebbe pensare, di pagare per avere tutto disponibile. L’idea più allettante della cosa è pagare per non dover più scegliere.

In fondo è come avere la servitù a casa, senza nemmeno l’inconveniente di vedersela entrare in camera quando ti girano: tu la paghi, e lei sceglie per te.

Dall’infinità alla singolarità
Qui arriva il paradosso. Alla lunga, come fai a godere di qualcosa che non hai scelto di godere?

Se, con Lacan, il mio desiderio è sempre il desiderio di un nome, il godimento non potrà che essere soddisfatto da qualcosa di puntuale. Non la pretesa di infinità del cloud ma la conquista di una materiale singolarità. Il vinile, ovvero l’esibizione della singolarità oggettuale, la controspinta inevitabile all’impero di una astratta, e nei fatti ingestibile, infinità.

Una vignetta umoristica del New Yorker rende bene questo slittamento: ci sono due uomini davanti a un impianto hi-fi compreso di piatto. Uno fa all’altro: «la cosa che mi ha attirato di più del vinile è che è ingombrante e che è caro». Dietro la battuta, la scena coglie il punto. Il vinile “vince” la battaglia contro il cloud non sebbene sia caro, sia ingombrante e non sia portatile ma proprio perché il vinile è caro, perché è ingombrante e perché non è portatile.

L’infinità di Dio e la finitezza dell’uomo
Il suono caldo – aggettivo chiave –, il gracchiare, la migliore qualità non c’entrano nulla. Non è questo il punto, o almeno non è questo il punto per il bacino d’utenza che determina l’abbandono di un medium (il cd o l’mp3) e la rinascita dell’altro (il vinile). No, La lotta non si gioca davvero sul piano dell’ascolto. Anche perché qui si riproporrebbe il paradosso che infetta la vendita delle cuffie on e over ear a centinaia di euro (Bower&Wilkins e Bang &Olufsen solo per citarne due) attaccate ad una sorgente che non riproduce suono FLAC ma mp3. Già, perché la maggior parte delle fruizioni dei 33 giri non avvengono nemmeno con un piatto connesso a impianti hi-fi di livello. Uno delle ultime uscite in questo contesto è Love, il giradischi che puoi controllare dallo smartphone. No, la qualità non c’entra un tubo. Ulteriore conferma è l’insuccesso dei SACD (acronimo di Super Audio CD): nei fatti la vera rivoluzione tecnologica in termini di qualità.

Il punto è invece onto-teologico. L’uomo ha bisogno della scelta, ha bisogno di individualizzarsi, ha bisogno di cose. Anche per amare, l’uomo ha bisogno di circostanze e di una storia. Perché l’uomo ama sempre il nome.

Già, Dio è no-cav e ascolta ogni cosa. Perché di Dio è l’infinità. Giuda invece è cav e ascolta un cd alla volta. Perché dell’uomo è la finitezza.


 

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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