Perché la distopia è così accattivante e seduce così tanto il pubblico? Sicuramente si assiste alla possibilità di poter vedere una storia alternativa costruita sul fallimento e la distruzione del modello sociale, economico e politico che si vive nella realtà effettiva, realizzando un desiderio che non siamo disposti ad ammettere a noi stessi. Tanto che, per attutire questa attrazione perversa nei confronti dell’autocatastrofe, il sentimento morale viene appagato dal fatto che solitamente a decretare la catastrofe siano state forze illiberali, tiranniche e dittatoriali, che rischiano di concretizzarsi anche nella realtà. Proiettare la realizzazione del fallimento delle democrazie nell’immaginario della finzione seriale significa renderla fantastica, impossibilitandone la realizzazione effettiva: se appartiene all’immaginario e all’universo fantastico, allora la catastrofe non potrà mai avvenire qui, nel mondo, perché tra realtà e fantasia resta uno iato insopprimibile. Nelle narrazioni seriali ci viene raccontato però che il dispotismo non riesce a fare sue tutte le coscienze dei sudditi: il personaggio è qualcuno che, come lo spettatore, comprende ed ha coscienza del fatto che quell’ordine sia sbagliato e vada sovvertito.

Se la catastrofe è dovuta a un fattore ignoto, o in maniera altrettante astratta da un evento naturale slegato dalle azioni umane, allora il messaggio trasmesso all’immaginario collettivo è che l’operazione di distruzione e sfruttamento del pianeta può continuare senza remore: se sarà un meteorite, un terremoto, una pioggia assassina, la diffusione di un virus che trasforma gli uomini in zombie a sentenziare l’estinzione del genere umano, allora significa che la nostra azione nella realtà potrà continuare benissimo a essere quella che è sempre stata, dal momento che siamo comunque condannati da una forza che non dipende da noi. Ancora più problematica è la distopia di Mr. Robot, che per quanto fantascientifica rincorre i fatti della cronaca e i maggiori eventi della storia contemporanea alludendo a una sorta di corrispondenza immaginifica: la politica di Obama nella seconda stagione e la corsa alla presidenza di Trump nella terza stagione vengono incardinate all’interno della vicenda finzionale e distopica che racconta il piano di dominio economico e geo-politico della Cina.

Portando al parossismo i temi cruciali della contemporaneità, perciò raccontando una storia finta, l’attenzione nei confronti dei problemi reali e delle reali cause della catastrofe in corso sfuggono alla coscienza dello spettatore, che forse anzi dalla confusione delle due dimensioni non riesce, proprio come in Homeland ma forse in maniera anche più forte, ad acquisire i giusti strumenti di comprensione dei fatti reali. Se la narrazione distopica allude al fatto che Trump sia stato eletto dopo la crisi del “9 maggio” che ha devastato l’economia liberale americana, allora l’ “elezione reale” di Trump come deve venire interpretata? Interessante segnalare come anche la narrazione de Il miracolo intercetti la dimensione para-distopica: la serie è ambientata nella più cruda contemporaneità, senza sbalzi temporali troppo radicali; ciò che fa da cornice (essendo uno dei personaggi principali il Presidente del Consiglio italiano Fabrizio Pietramarchi) è una grave crisi politica e istituzionale dovuta al referendum per l’uscita dall’Unione Europea dell’Italia. Così, la cupezza e la claustrofobia che scandiscono le immagini di Il miracolo è come se volessero scongiurare la possibilità (seppur recondita) dell’ “Italexit”, dal momento che palesandosi nella sfera immaginifica della fiction essa intende negarle l’attuazione nella realtà (confermando l’adagio dell’idea che non si possa ambire a qualcosa che non sia il “minore dei mali”). Il “lieto fine” della serie italiana (la vittoria del NO al referendum, pagata a caro prezzo dallo stesso premier col “sacrificio” di suo figlio), non a caso è sancito dall’ultimissima inquadratura dedicata al protagonista, a pochi minuti della fine: il suo sguardo sardonico in macchina, e perciò la sua interpellazione del pubblico, è un gesto ammiccante che sottolinea come l’happy end dell’universo finzionale voglia coincidere necessariamente col mantenimento dello stato di cose della realtà.


 

Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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