Gli effetti scaturiti dell’incidente aereo di domenica 10 marzo in Etiopia, quando un aereo del Ethiopian Airlines è precipitato a terra pochi minuti dopo l’atterraggio determinando la morte di tutti i passeggeri a bordo (157 le vittime), sono molteplici e si collocano a più livelli. E uno coinvolge Donald Trump.

Conseguenze – C’è, innanzitutto, la questione umana. E il dolore per le storie di vita che le persone morte si portano con sé, universi di significatività che, a loro volta, incrociavano le esistenze di altri, inghiottite nel nulla della morte in pochi secondi. C’è una questione tecnica relativa alle cause dell’incidente, e qui si è già aperta una gara di conoscenza rispetto al presunto software anti-stallo che non ha funzionato. C’è un risvolto economico rispetto all’azienda Boeing, produttrice del velivolo precipitato, il modello 737 MAX 8, che ha visto crollare le proprie azioni in Borsa e aprirsi un pericoloso fronte di credibilità industriale. C’è un tema di sicurezza che, ex-post, ha visto le agenzie che regolamentano il traffico aereo imporre a questi veicoli di rimanere a terra – verrebbe da chiedersi se tali agenzie regolatorie non servano proprio per garantire il soddisfacimento minimo dei requisiti di garanzia per un servizio e non per sanzionare la mancanza di esse, ma sarebbe un altro discorso. Così come lo sarebbe quello relativo alla presunta problematica capitalistica di ricorso al profitto che non riesce a tenere il passo con i vantaggi del servizio: i numeri parlano di 8500 voli a settimana di questa classe di jet; 36mila al mese e oltre 400mila nell’anno. Le incidenze statistiche degli incidenti sono quantificabili e al netto dell’atavica paura del vuoto dello spazio comparabili con quelle di altri mezzi di trasporto. Ma, come detto, è un altro ordine di discorso.

Trump – Tra i risvolti, infatti, scaturiti dell’incidente ne è emerso uno stranamente filosofico che merita di essere analizzato. A essere protagonista di questo pensiero è proprio il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che in una successione di due tweet ha provato a spiegare la sua opinione/visione su quanto accaduto:

“Gli aeroplani sono diventati ormai troppo complessi per volare. I piloti non sono più necessari, piuttosto lo sono gli informatici del MIT. Lo noto sempre più spesso in tanti prodotti. Si cerca sempre di andare in maniera non necessaria un passo più avanti, quando spesso ciò che è usuale e semplice è molto meglio. Decisioni da prendere in un secondo sono….“

“necessarie. E la complessità crea pericolo. Tutto ciò ha un grande costo e un ridotto vantaggio. Non so tu, ma io non voglio Albert Einstein come pilota del mio volo. Vorrei avere grandi professionisti del volo che siano nelle condizione di prendere il controllo del volo in maniera rapida e semplice”.

Complessità – Al di là della metaforica colorita del Presidente Trump, che si adatta alla perfezione al personaggio che lui stesso ha creato, c’è un passaggio in questi tweet che merita di essere preso con una maggiore considerazione: Complexity creates danger. In questa semplice frase si raccogliere forse la sfida più duratura della stessa storia umana: spingere ogni giorno più in là il livello di sedimentazione informativa presente del reale e a disposizione degli esseri umani. Chiaramente, aumentare tale sedimentare determina un aumento di complessità, perché le informazioni sono connesse, creano senso nella singolarità, nella connessione e nelle connessioni delle connessioni. Di solito, in molti momenti della storia è stato così, l’attenzione degli esseri umani non è irretita dalla complessità, perché il mondo in cui si vive è per lo più noto e la complessità si traveste da abitudine. Nei momenti di grande cambiamento epocale, come quello che si sta vivendo con il passaggio all’era digitale, invece tale tema esplode, diventa la chiave interpretativa per tentare di cogliere il proprio presente, negandolo, resistendo a esso.

Questa è l’operazione concettuale alla base del ragionamento di Trump. Egli infatti costruisce una precisa dicotomia procedurale. Da un lato, c’è il caro vecchio modo di guidare l’aereo dove i piloti avevano la guida completa, dove le manovre erano frutto della loro esperienza e capacità di gestione del mezzo. Dall’altro, c’è il nuovo modo di utilizzare i velivoli che è meno invasivo dal punto di vista umano, perché la maggior parte delle possibili azioni è già inclusa in un orizzonte di computabilità. In altre parole, la contrapposizione è tra era analogica/meccanica e digitale.

Qui c’è il punto chiave della questione. Non è tanto la complessità in sé a creare pericolo, quanto piuttosto la complessità che non si riesca a comprendere, e quindi a controllare. È chiaro a chiunque infatti che guidare un aereo degli anni settanta od ottanta non fosse una cosa semplice o scontata. Servivano grandi competenze tecniche, conoscenze e capacità di controllo. Era cioè un’operazione altamente complessa in sé. Inimmaginabile, poi, se la si paragonava alla guida degli aerei monoposto della Prima guerra mondiali. Meno complessi ancora e meno pericolosi. O forse no?

Disponibilità – Si potrebbe allora risolvere la questione sostenendo che quella di Trump sia una semplice nostalgia di una complessità “minore” che riusciva a controllare e la sua paura sia quella che tutti hanno rispetto alla novità. In parte è così, ovviamente. C’è però anche dell’altro che definisce in maniera specifica questa fase di passaggio. La caratteristica fondamentale dell’era digitale non è la complessità (ogni era è complessa a suo modo) quanto la disponibilità di tale complessità ovvero la possibilità da parte di chiunque di poter attingere a tale complessità. Appunto perché si tratta di qualcosa che sembra apparentemente dato, si ha la sensazione di non dover faticare per ottenerlo. La possibilità di conoscenza è scambiata per la conoscenza. È questo il grande dramma che si sta vivendo in questo momento di passaggio epocale. L’aumento di complessità richiede un aumento di conoscenza. La disponibilità di essa inganna molti che, proprio perché è li a portata di mano, non si applicano per acquisirla davvero. Ecco come l’eccesso potenziale si stia tramutando in un difetto reale.

Conoscenza – In questo scambio si apre la voragine della nostalgia “analogica” che anima la visione tecnologica di Trump, ma che è alla base anche della sua prospettiva politica. Il rifiuto della complessità è ormai una forma ideologica per la costruzione di un reale “più a misura d’uomo”, cioè in vero meno a misura d’essere umano, perché implica la rinuncia al tratto essenziale della creazione razionale.

Proprio utilizzando l’esempio di Trump, non c’è bisogno di piloti che controllino a livello meccanico la macchina. C’è bisogno di piloti che controllino a livello meccanico-analogico e digitale il velivolo.

Non è meno conoscenza che serve quando aumenta la complessità. È maggiore conoscenza l’arma per evitare di cadere nel pericolo di una complessità incontrollata.

 

Credit Foto: Pagina Facebook Donald J. Trump

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