“Quando una insegna ad Oxford sembra quasi che debba avere la sfera di cristallo”. Così Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’Informazione, ha esordito al MAXXI durante la conferenza “Human digital transformation”, dedicata al tema “Disegnare un progetto umano per il ventunesimo secolo”. Non avrà la sfera di cristallo, ma sicuramente è uno dei pochi filosofi ad essersi confrontato lucidamente con l’avvento del digitale e le questioni che ha aperto.

Autore de “La quarta Rivoluzione”, il punto centrale del suo pensiero è il concetto di “infosfera”. L’infosfera è la riconfigurazione del mondo in cui viviamo alla luce dell’impossibilità odierna di distinguere nettamente online da offline.  Il digitale non è semplicemente un mezzo (un media come tanti), ma è un vero e proprio “spazio”, una dimensione dell’esistenza, all’interno della quale agire, conoscere e stringere relazioni. Tutto ciò che si fa online è sempre più stretto e intersecato con quella “dimensione materiale” che si era abituati a pensare come l’unica “vera” o “reale” dimensione dell’esistenza.

Durante l’incontro Floridi, insieme a Marco Bentivogli (segretario generale FIM CISL), Felicia Pelagalli (presidente associazione InnovaFiducia), Giovanni Melandri (presidente fondazione MAXXI), hanno spiegato come la rivoluzione digitale rappresenti una sfida da affrontare con intelligenza e speranza, senza cadere nella fin troppo facile retorica tecnofoba e distopica (alla Black Mirror).

Progettualità & Crisi

Se oggi esiste un problema socio-culturale legato alla diffusione del digitale, per Floridi il problema non è il digitale. Al contrario, il problema consiste nel modo in cui la politica e la società tutta hanno affrontato l’avvento del digitale. Invece di elaborare una visione complessiva, di lungo periodo, della realtà digitalizzata, la politica si è concentrata sulle “crisi” o sulle questioni di breve-medio periodo (quelle che rientrano negli intervalli fra le tornate elettorali).

Gli effetti di una tecnologia dipendono infatti dal senso (direzione e significato) che si sceglie di attribuirle. Non perché il digitale sia qualcosa di “neutrale” o privo di caratteristiche proprie, quanto perché queste comunque si offrono all’intelligenza e alla capacità umana di adattarvisi flessibilmente, pianificandole e non subendole. Insomma, il digitale non è una minaccia che di tanto in tanto fa scoppiare qua e là delle crisi (nel mondo del lavoro, dell’istruzione, della comunicazione, ecc…), ma, al contrario, è un’opportunità su cui edificare una nuova visione del mondo e dell’uomo.

Lavoro che muore, lavoro che nasce

Uno dei miti distrutti da Floridi è quello per cui “il digitale ruba il lavoro alle persone”. In realtà, il digitale non elimina il lavoro, ma semplicemente lo modifica, trasformando le competenze richieste. Inoltre, siccome “non ruba il lavoro”, non è neanche vero che “ciò che resta alle persone è ciò che le macchine non sapranno mai fare, ovvero provare sentimenti, divertirsi, lavorare in gruppo, ecc…”. Innanzitutto perché non è detto che le macchine non possano imparare a coordinarsi e a lavorare in gruppo (parzialmente già lo fanno), ma soprattutto perché la digitalizzazione richiede individui in grado di farla funzionare.

Tra lavori che muoiono e lavori che nascono inevitabilmente si crea un effetto faglia; rischiano di esserci dei perdenti. Tuttavia, la durata della faglia, dell’asimmetria tra domanda e offerta di lavoro, dipende unicamente dalla capacità di comprendere, pianificare e governare le trasformazioni in atto. È necessario affrontare adesso le trasformazioni in atto e non rimandare: ciò che è in gioco è l’entità del conto da pagare alla storia.

La polarizzazione non è il nostro destino

Anche quando si parla, nel contesto della crisi della democrazia, di analfabetismo funzionale e polarizzazione delle opinioni, secondo Floridi si ha a che fare con un difetto di pianificazione. Con polarizzazione si intende quel processo comunicativo-cognitivo per cui una questione è semplificata e ridotta ad alternative secche (sì/no, bianco/nero, alto/basso). Quando si pensa per polarità nette non si sta pensando abbastanza. Le cose sono sempre più complicate e sfumate. Ma se gli elettori non sono abituati a pensare e dimostrano di capire soltanto argomenti polarizzati, come si può comunicare in altro modo? Come si può rompere questa circolarità per cui “ignoranza” porta “polarità” e la polarità nuova “ignoranza”?

Per Floridi serve semplicemente un atto di volontà, una scelta da parte di coloro che operano nel mondo digitale. Questo infatti, ben lontano dal mito della disintermediazione, ha mostrato anche nel mondo del giornalismo e della comunicazione l’emergere di nuove forme di mediazione. Sta all’impegno di tutti e di ciascuno invertire il circolo, far sì che il vizioso diventi virtuoso, e che da nuove forme di relazione nascano nuove forme di intelligenza collettiva.

 

Questo articolo nasce dalla collaborazione con Lorenzo Di Maria, in fase di ideazione come di scrittura.

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