Per capire quale ruolo abbia assunto Game of Thrones nell’immaginario di chi è nato negli anni ’90 basta realizzare un facile esperimento mentale. Si assuma di essere ad un aperitivo e di dover stabilire una conversazione intelligente, ma disimpegnata, con delle persone che si sono appena conosciute. Per il primo postulato delle interazioni sociali, si sa che la specificità degli argomenti introducibili deve essere inversamente proporzionale al tempo trascorso: si deve iniziare dalle cose più generali, impersonali e che hanno una grande possibilità di essere condivise. Scorrendo così la topica dei temi possibili ci si imbatte subito nella categoria “spettacoli di intrattenimento” e dunque nella sua specificazione “serie tv” (che da tempo hanno soppiantato i film). Ma quale serie tv? È impossibile non pensare subito a “Game of Thrones”. Che l’interlocutore conosca la serie o meno, la domanda “Ma tu hai visto GoT?” verrà effettivamente percepita da tutti come pertinente ed accettabile. Chi non l’ha vista infatti per lo più tenderà a giustificarsi con un “No, perché/ma…”.

L’esperimento mentale fornisce questo risultato perché GoT è penetrata profondamente nell’immaginario comune: è affare di tutti. Ricca fonte di meme, battute ed espressioni proverbiali, GoT fa indubbiamente parte di quei prodotti di intrattenimento che, superando il loro fine immediato, diventano repertori culturali generici, disponibili per una potenzialmente indefinita rielaborazione e ridefinizione di significati. Ognuno può usare GoT per pensarsi e far pensare, far ridere ed esemplificare, sapendo di poter contare sul suo radicamento nell’immaginario.  Ma quali sono le ragioni di questo successo? Esistono delle ragioni intrinseche, relative alle sue caratteristiche narrative e stilistiche, ma vi sono anche delle ragioni estrinseche, forse meno evidenti, ma non per questo meno significative.

Schema di uno dei primi memes a tema GoT. Consiste nel modificare la seconda parte della celebre battuta di Ned Stark "Brace yourself, winter is coming".

L’immaginario guarda sempre a destra

Una delle caratteristiche fondamentali dell’immaginario è la sua refrattarietà al cambiamento: esso è essenzialmente reazionario. Se non possedesse questa sua resistenza verrebbe ovviamente meno il suo essere comune: ognuno lo potrebbe modificare a suo piacimento. Ciò fa si che per poter agire sull’immaginario un prodotto culturale non debba soltanto avere successo, ma debba avere successo per molto tempo. Se i prodotti culturali sono acqua che scorre, la loro azione sull’immaginario è la sedimentazione calcarea: per lasciare traccia serve una continua reiterazione. Si capisce così come GoT sia uno dei più influenti prodotti televisivi di sempre non soltanto per le sue caratteristiche, ma perché è riuscito a (re)imporsi all’attenzione di tutti anno dopo anno. Se infatti il primo episodio della serie tv risale al 17 aprile 2011, il primo romanzo è stato pubblicato nel 1996!

È tutta una questione di tempo: il marketing dell’attesa

Non sorprende dunque che tanto la HBO tanto Martin abbiano deciso di lasciare il 2018 privo di GoT: sia l’ottava ed ultima stagione della serie tv, sia il sesto e penultimo capitolo della saga letteraria, sono stati rimandati al 2019. Si può parlare di un vero e proprio marketing dell’attesa o dell’assenza. E non si tratta soltanto del vecchio adagio per cui “la mancanza aumenta il desiderio”, secondo il quale si desidera solo ciò che non si possiede e l’intensità del desiderio aumenta in funzione della lunghezza del tempo della mancanza. Al contrario, nel caso dei fenomeni dell’immaginario nell’era del digitale, “la mancanza, paradossalmente, aumenta la presenza”.

La mancanza infatti, distanziando la presenza della serie tv e dei libri come evento, come novità calata orizzontalmente sul pubblico, estende lo spazio della presenza come attesa e circolazione orizzontale fra il pubblico. Nel tempo dell’attesa, GoT è più presente perché siamo chiamati noi, come spettatori, a diventare coautori, riempiendo attivamente l’attesa: si formulano teorie, si cerca e si interpreta qualsiasi segno come informazione sugli sviluppi futuri della trama, si inventano persino algoritmi per cercare di predire come andrà a finire. L’attesa da una parte aumenta il tempo in cui GoT può continuare a suscitare attenzione in quanto notizia (qualsiasi brandello di informazione è rilevante), dall’altra chiama gli spettatori ad usare GoT attivamente, come parte dell’immaginario, proprio per supplire alla sua assenza come evento. Proprio nella mancanza GoT riesce ad essere più presente e dunque a conquistare la coscienza comune.

In questo senso può essere interpretato anche il nuovo libro annunciato da Martin, “Fire and Blood”, una monumentale storia della Casa Targaryen, in uscita nel 2018. Si tratta della stessa strategia messa in atto con gli spin off di Star Wars: invece di esaurire la trama si estende l’ambientazione, aumentando il tempo dell’attesa e insieme mostrando al pubblico le indefinite possibilità di significato gli sono aperte. Ciò che si vende non è infatti soltanto una storia, ma una preziosa risorsa dell’immaginario.

Credit photo: Instagram account "gameofthrones"

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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