Il caso C. non è ancora chiuso, come dice il Figlio ai pochi giornalisti accorsi per avere notizie sulle condizioni di suo Padre, il Presidente, finito sotto i ferri in un ospedale tunisino. È vero, il caso Craxi non si è ancora chiuso, è stato di nuovo scoperchiato, questa volta da Gianni Amelio con Hammamet, a vent’anni dalla morte dell’ex leader socialista. (Contiene spoiler)

Ritorno al passato

Nelle prime sequenze del film il piccolo Bettino, riottoso allievo di un collegio cattolico, manda in frantumi una vetrata a colpi di fionda. Un episodio emblematico in cui il futuro segretario del Psi si confronta con il bene e il male, il rispetto delle regole, la punizione e l’autorità. L’eco del rumore dei vetri ancora riecheggia, è qui che ci parla, ci interroga e ci chiede di fare i conti con un controverso capitolo della storia più recente del Paese. Forse di ripensarlo, di riscriverlo. Quell’eco risuona nelle orecchie degli italiani che continuano ad accapigliarsi sulla figura di Craxi e sulla sua eredità lacerando una memoria che probabilmente non potrà mai essere condivisa.

In Hammamet, un film dallo svolgimento libero su una dolorosa vicenda umana, il regista dà voce al suo protagonista. Come molto spesso è capitato nel cinema di Amelio, anche questo è un film di Padri e Figli, di Figli alla ricerca di Padri, di Figli che vogliono comprendere le ragioni dei Padri. Si torna indietro di quasi quarant’anni, direttamente all’esordio sul grande schermo di Amelio con Colpire al cuore, presentato al Festival di Venezia del 1982 e ancora oggi una delle testimonianze più lucide sugli Anni di Piombo. Lì un figlio adolescente si mette a indagare sui segreti del padre, un affermato docente universitario, dopo essersi imbattuto in un agguato terroristico. Tra i cadaveri il ragazzo riconosce un allievo del padre che qualche giorno prima era stato loro ospite assieme alla sua compagna.

Quale verità?

Il padre, un intellettuale, ex partigiano, è complice di una coppia di terroristi, di un feroce assassino e di una presunta tale? Per scoprirlo il giovane si affida alla sua macchina fotografica. Il suo obiettivo diventa un mezzo che inchioda il padre davanti alle sue responsabilità, uno strumento al servizio della verità – una dolorosa verità per il figlio ma anche una verità storica.

In Hammamet viene messo in scena qualcosa di simile. Non c’è una macchina fotografica a inquadrare la realtà ma una videocamera digitale che il figlio del tesoriere del partito porta con sé in Tunisia nella villa di Craxi. Anche in questo caso è un dispositivo al servizio della verità, o meglio di una verità soggettiva, quella del presidente. È il mezzo che registra il racconto della sua versione dei fatti, la stessa che riversa nelle telefonate con i giornalisti e che, in qualche modo, cerca di consegnare alle generazioni future. Non ai figli ma ai nipoti, due generazioni dopo. Nella cornice dei film amatoriali girati ad Hammamet, oltre a Craxi, entra infatti solo un’altra persona. È suo nipote che in spiaggia racconta con l’aiuto di un esercito di soldatini l’episodio di Sigonella, una delle pagine più celebrate del lungo governo a guida socialista negli anni ‘80.

Amelio ha dichiarato di aver voluto mettere tra virgolette il punto di vista di Craxi ricorrendo proprio al pretesto della video-confessione davanti alla videocamera. Un racconto con un formato diverso dal quale il regista cerca di distanziare il resto della narrazione. Il confronto con il già citato Colpire al cuore sembra dare ragione al regista. In questo film la sovrapposizione tra il punto di vista dell’autore e quello del giovane protagonista è evidente nell’ultima sequenza.

La macchina da presa riprende infatti il blitz della polizia nella casa della compagna del terrorista. Con un movimento di macchina ‘entra’ dalla stessa finestrella dalla quale il ragazzo aveva spiato e fotografato i movimenti della donna. Lo sguardo del ragazzo si fonde con quello della macchina da presa nel medesimo punto di osservazione. La macchina da presa si sostituisce alla macchina fotografica, lo sguardo dell’autore allo sguardo del protagonista.

Quanto invece appare molto meno evidente in Hammamet, dove l’autore non fa altro che accendere i riflettori su una vicenda personale e anche storica, dando spazio alle parole del suo tragico protagonista. Sospeso tra storiografia e finzione, nel film non c’è una ricostruzione cronachistica degli eventi storici né una rappresentazione/interpretazione politica degli avvenimenti, come altre volte è successo nel cinema di Amelio. Il ritratto dell’uomo – di un uomo che sente avvicinarsi la fine – prevale sulla storia.

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