I filosofi (quelli che lo sono, quelli che lo sarebbero senza dirlo e, pure, i sedicenti tali) fanno l’amore? Il sesso fa parte delle loro vite o rimane solamente Hegel a riempire le loro giornate? Anche se, visto l’argomento, sarebbe stato meglio usare il riferimento a Kant.

In questi giorni di turbomondialismo informativo è emersa la confessione-racconto delle dinamiche relazionali che legano Aurora Pepa e Diego Fusaro, prossimi sposi. Per l’evento lieto prossimo futuro non si può ovviamente che riservare italici, cattolici e tradizionali auguri di felicità.

Parlare di sesso genera sempre una morbosità d’attenzione. Parlare del non-sesso in un’era di sessualità esibita determina l’iperbolica morbosità dell’attenzione, in quanto rimanda a una sorta di deviazione normativa, a un’eccezione, a una diversità che attira e, allo stesso tempo, ripugna. Ora la scelta delle singole persone di cosa fare del proprio corpo e di come utilizzarlo è un elemento che attiene appunto alla sfera del privato. Quello su cui è interessante riflettere sono alcuni meccanismi di costruzione del personaggio mediatico che in questo caso hanno funzionato alla perfezione.

Esporre il sé privato – Una delle prime regole per entrare nel circuito di riconoscimento dei media è esporsi, concedere cioè qualcosa di privato che dovrebbe essere considerato come proprio, individuale, sottratto, nascosto. Questa tratto dell’esposizione è essenziale, in quanto fonda la possibilità stessa di creare un ponte di riconoscimento. Bisogna sapere qualcosa di specifico e particolare di qualcuno che non si conosce per poter parlare di lui o lei. Su cosa si basa alla fine lo star system se non su un’asimmetria informativa tra chi si fa vedere e chi vede. Chi si fa vedere mette in comune con chi guarda il proprio sé emotivo. Chi vede acquisisce questa conoscenza, come reale, vera, e la esercita. La utilizza nel suo vivere quotidiano, nel discorrere, nel condividere. In questo esercizio si convince che l’apparire corrisponde effettivamente all’essere. E il circuito mediatico diventa più reale del reale. Fusaro fa già parte di questo sistema. Però finora era ai margini, era solo una presenza, un contorno, un’aggiunta scenografica, un portatore sano di stranezze terminologiche nei salotti televisivi. Ora c’è un salto di qualità. Si concede il privato per entrare con diritto nel sistema dell’essere-personaggio. Tutto ciò prescinde chiaramente dalla valutazione del fatto che sia vera o meno la privatezza che si è messa in esposizione.

Ci sono poi due specifiche dimensioni che lavorano in maniera implicita quando si parla del rapporto tra filosofi e sesso su cui vale la pena di soffermarsi per cogliere fino in fondo le ragioni di una tale eco per una confessione in sé prossima all’insignificanza:

Latenza gnostica – C’è una convinzione che deriva in larga parte dalla sovrapposizione lunga secoli tra riflessione concettuale e analisi teologica che il filosofo non abbia “corpo”. O, meglio, che il corpo del filosofo sia solo uno strumento finalizzato allo stare al mondo per permettere al pensiero di esprimersi. È nella testa il valore del pensatore, lì c’è la scintilla che permette di essere diversi dagli altri. Il corpo omologa, la mente differenzia. C’è qui appunto il riproporsi di un tema gnostico: la scintilla divina, che – per intendersi – è la capacità di conoscenza, è intrappolata nel corpo che la obbliga ad assecondare i proprio desideri. Il sesso è questione corporale, che abbassa la nobiltà della scintilla dell’intelligenza, per questo è cosa da rifuggere. Il filosofo, secondo questo latente pregiudizio, è un’entità scissa: intelligenza, da un lato, e corpo, dall’altro. Non c’è unità reale. C’è convivenza forzata. Scegliere Hegel (che non sarebbe stato d’accordo) al posto del sesso è rivendicare allora l’eccellenza del proprio essere: seguire la scintilla della conoscenza, anziché gli istinti della natura.

Universalità concettuale – L’altro grande ambito pregiudiziale che nutre la figura sacrale del filosofo è l’eccedenza del concetto rispetto a qualunque individuazione. Pensare l’universale obbliga il filosofo a essere di tutti e per tutti. Gioca anche qui una latente comparazione sacerdotale: come il prete è il custode della totalità divina da comunicare a tutti, così il filosofo è il custode dell’universalità concettuale da trasmettere a tutti. E il sesso è, per definizione, individualizzazione. Per questo stride, confligge e mal si adatta a questa visione alta, sacra, intangibile dell’esercizio del pensare. E, anche quando, si evidenza che il sesso è relativo a un tu, che diventa un noi nell’atto fisico, concreto del congiungersi, è troppo poco rispetto alla grandezza di questo pregiudizio. Scegliere un tu al posto degli infiniti altri tu coi i quali si entra in contatto significa privilegiare la parte deteriore di sé (il corpo) rispetto all’universalità del messaggio (il concetto). Bisogna dunque rinunciare, astenersi, rimanere nelle alte vette della teoresi (termine caro a coloro che esercitano la riflessione pura).

Tutto questo per qualche ospitata in televisione in più.

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