Una nuova Europa sta nascendo. Quella dei Gilet Gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta”. Così Luigi Di Maio conclude il suo appello ai manifestanti francesi,Gilet Gialli, non mollate!, diffuso attraverso il Blog delle Stelle il 7 gennaio. Con queste parole, oltre a tracciare una precisa strategia politica, il Capo Politico M5S ha anche fornito un’interpretazione delle ondate di proteste che dal 17 novembre 2018 hanno invaso tanto le autostrade quanto il centro di Parigi. Alle ricorrenti domande “cosa vogliono i Gilet Gialli?” e, soprattutto, “chi sono i Gilet Gialli?” il leder pentastellato risponde così:

Io ho letto le vostre rivendicazioni, le vostre 8 doleances (lamentele) e mi ha colpito il fatto che il primo punto è proprio la democrazia diretta. E’ una rivendicazione importante perché dà il senso a tutte le altre vostre richieste. […] La politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: “fateci partecipare!”.

Di Maio non indica come elemento essenziale dell’esperienza dei Gilet Gialli una specifica rivendicazione o contenuto politico (come ad esempio fa Toni Negri, scegliendo la “rivalorizzazione del lavoro”). Al contrario, ciò che precede e “dà senso” ad ogni rivendicazione particolare è l’aspirazione ad una forma politica: la democrazia diretta. Ciò che unifica i Gilet Gialli, che li rende un movimento, non è dunque tanto un “che cosa”, un motivo determinato, quanto la rivendicazione della “volontà di decidere” per sè. Ha senso ed è legittimo richiedere qualcosa, perchè sono io a richiedere quel qualcosa. Ma cos’altro possono dirci queste parole?

Indeterminatezza

Il punto di partenza dell’interpretazione dimaiana è un testo, assunto come manifesto ideologico dei Gilet Gialli: le les 8 doléances de Gilets jaunes. Si tratta di un “foglio anonimo, raccolto in strada a Parigi”, letteralmente di una “cartaccia”, diffusa attraverso il sito internet del filososo Michel Onfray. Oltre il primo punto, citato da Di Maio (“vogliamo la democrazia diretta a tutti i livelli”), vi si trovano rivendicazioni in materia fiscale (“ribasso del 20% di tutte le tasse e le imposte che toccano la classe media”), di controllo dell’imigrazione, di devoluzione dei poteri, di protezionismo commerciale ed infine si richiede “un’azione immediata per fermare l’integrazione Europea, perché essa si costruisce soltanto sulla rovina della povera gente”.

Googlando si scopre facilmente come questo non sia l’unico elenco che pretende di riassumere e “rappresentare(!)” le istanze dei Gilet Gialli. Ci sono i “42 punti dell’elenco consegnato a fine novembre novembre ai deputati francesi, ci sono i “25 punti” della Carta dei Gilet Gialli diffusa tramite Facebook il 5 dicembre, ci sono i “4 Sondaggipresenti sul “Sito ufficiale dei Gilet Gialli”. Nessuno di questi può vantare una maggiore legittimità: essendo tutti sullo stesso piano, ciascuno può scegliere quello che preferisce (come ha fatto Di Maio) o crearne uno proprio (magari potrebbe diventare virale o essere raccolto per strada da un influencer e ripostato…).

Oltre una chiara “aria di famiglia” sovranista/populista, in questi elenchi ce ne è per tutti i gusti. La loro forza seduttiva è proprio nella vaghezza, nel potervi trovare ciò che si vuole. Ad esempio, il tema dell’immigrazione è presente in ogni elenco, ma secondo gradi di radicalità ed accenti molto differenti. Nel caso dell’immigrazione si passa dalla richiesta di “una vera politica di integrazione” (42 punti) al voler impedire i flussi migratori impossibili da accogliere e da integrare”(25 punti) passando per “vogliamo un’ immigrazione selettiva” (8 lamentazioni). Inoltre, al loro interno presentano palesi contraddizioni. Ad esempio, l’elenco dei “25 punti” richiede “rispetto scrupoloso del diritto internazionale e degli impegni presi” e contemporaneamente l’”uscita dal Patto Atlantico” e la “FREXIT”.

Appropriazione e Personalizzazione

Il “cosa” vogliono i Gilet Gialli è una lista indefinitivamente aperta, ogni individuo può aggiungere il punto che desidera. Ognuno può “far la propria” richiesta, perchè non esiste (per ora) alcun processo di selezione e validazione collettiva delle richieste. Ne segue che sotto il grido (puramente negativo) Macron demission!ci sia spazio per tutto e il contrario di tutto. L’aspirazione a “partecipare”, individuata da Di Maio come tratto aggregativo, è tale per cui nella misura in cui unisce le individualità, le ri-frammenta. E nel momento in cui viene meno la frammentazione, viene meno anche la partecipazione diretta come elemento unificante. Paradossi della politica movimentista.

Il paradigma di questa politica “a misura dell’individuo” è illuminato dal modo in cui i manifestanti indossano il loro simbolo, il gilet giallo. In molte immagini si nota come molti tendano a personalizzarlo, ricoprendolo di scritte riportanti i propri desideri e le proprie denunce, le proprie minacce e le proprie speranze. La semiotica dei meme (template generico dotato di un pre-significato indeterminato e realizzazione determinata piú o meno idiosincratica) diventa la logica dell’esibizione politica dell’individuo.

Identificazione e Totalizzazione

Nell’assenza totale di mediazioni tra l’individuo e la folla manifestante (nessuna procedura “costituente”, nessuna gerarchia, nessun programma definito), l’unico modo per mettere in relazione (e tenere insieme) la parte (l’individuo) e l’intero (i Gilet Gialli) è l’identificazione immediata di ogni parte con l’intero. Senza la maturazione di una visione collettiva, la decisione di rinunciare a qualcosa dell’”io” per riconoscersi in un “noi”, ogni singola visione individuale “deve poter stare per” la visione di tutti. Ogni manifestante deve poter dire, in pieno stile Luigi XVI, “i Gilet Gialli sono io“. Dagli Champ Elysees a Versailles, in un battito di ciglia.

Credit photo: profilo Instagram herbertclaros

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