La vicenda Morgan/Bugo finge di non essere quello che è: costruzione narrativa che ha permesso a Sanremo di andare oltre Sanremo, ai due protagonisti di avere qualche settimana di visibilità massmediale (che il piazzamento del brano non avrebbe mai permesso loro), alla RAI di avere le testimonianze di Bugo in vari programmi per continuare lo storytelling, e alla emittente avversaria, Canale5, di avere nella propria scuderia la parte avversa, ovvero Morgan.

Il grande circo dello spettacolo televisivo si prende così la sua rivincita rispetto al circuito del web: se Achille Lauro da star social è stata trasfigurata nel tempio dello spettacolo televisivo di Sanremo, tornando però ad alimentare il bacino del proprio successo sui canali che gli sono più appropriati (è prevedibile che Achille Lauro, come Mahmood lo scorso anno, si vedrà sempre meno in TV), Morgan e Bugo trovano nella televisione lo spazio del proprio racconto, perché la TV e i programmi della televisione generalista restano lo spazio del trash. Perché è il trash, e non Gucci o la performatività estetico-teatrale a suo modo sofisticata, ad alimentare la curiosità del pubblico televisivo. I numeri delle vendita del disco di Bugo sono lì a testimoniare l’efficacia di tale strategia.

E tuttavia, dal momento che la spirale dialettica è inarrestabile, dal fondo del trash televisivo riemerge negativamente il brano: un videoclip dove Bugo legge Agamben e Morgan gli spartiti di Bach e altri classici della letteratura. Un brano straordinario di cui solo la versione in studio riflette la portata e il senso profondo, anche perché tale “contenuto di verità” del brano risplende solo alla luce della diatriba tra i due e della fine della loro amicizia, recitata o effettiva poco conta. Ma i versi della canzone di Bugo, quelle sonorità, i gesti dei due cantanti nel video diretto da Eros Galbiati (che insiste sulla distanza abissale degli interpreti ai due punti opposti del set, che si avvicinano senza mai toccarsi, quasi tentando di convincere l’altro di qualcosa), tutti questi elementi sembrano segnalare un livello performativo complessivo addirittura superiore a quello di Achille Lauro, che travalica appunto Sanremo e abbraccia la televisione.

E d’altronde, lo struggimento malinconico del brano allude a una dimensione decadente che manca al rock’n’roll di Achille Lauro: i sogni di un passato tramontato, le illusioni giovanili, le belle speranze scagliate contro il “Ma sono solo io. Non so chi mi credevo”. Ascoltando le parole di questa perla della musica italiana contemporanea, si comprende perché questo brano e gli accadimenti avvenuti attorno a esso abbiano avuto più pregnanza  e maggiore presa sull’immaginario collettivo, rispetto al barocchismo astratto e distante di Achille Lauro: il brano di Morgan e Bugo ci riguarda tutti, perché riguarda le nostre manie di grandezza, i nostri fallimenti, le nostre imbarazzanti e supponenti ambizioni.

Credit photo @Spetteguless.it

Il caso Morgan/Bugo: oltre Achille Lauro e il Sanremo che non finisce

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