Il dono migliore è quello che non si scambia, né, per questa ragione, che si cambia. Il suo status quo di dono non trova legittimità nella carta regalo che lo avvolge, ma nell’imprevedibilità dell’evento del donare.

Il dono migliore è quello mai scambiato. Se donare sorge come un atto evolutivamente controverso in quanto privazione di un bene per se stessi che gratuitamente viene offerto all’altro, è immediata l’intuizione che il dono sia qualcosa di insensato. Biologicamente inspiegabile. Inforcando le lenti della logica dell’accumulo, la prospettiva che esse restituiscono è un algoritmo matematico volto a scrollarsi di dosso la sottrazione, puntando sul prossimo giro di roulette per rincarare l’ammontare raggiunto.  Ma questa è la sinfonia stonata della dinamica della donazione, che appare fieramente ai margini del razionalismo biologico. Nella rarità del suo manifestarsi come evento, non piange alcuna disillusione.

In un racconto di Guy de Maupassant che porta il titolo di Idillio si racconta di una formosa balia di venticinque anni che allatta su un treno diretto in Francia un giovane piemontese affamato. Lui era a digiuno da due giorni, lei in sovrabbondanza di latte. Non allattava dalla notte scorsa. Si sentiva a pezzi, sarebbe svenuta da un momento all’altro se non avesse fatto schizzar via quel latte che le comprimeva il petto. Imprevedibilmente si realizza un incontro-donazione tra due essere umani, che ristabiliscono uno spontaneo equilibrio tra eccedenza e sottrazione.

Ora, quale relazione intercorre tra questa singolare vicenda e quel meccanismo tipicamente natalizio di corsa all’accumulo dei regali, premeditati o last minute, per star sicuri di non arrivare impreparati al momento dello scambio? S’intravede del grottesco all’orizzonte, ma c’è dell’altro. Entrambe le situazioni sono degli eventi. Eppure, l’uno è totalmente casuale e spiazzante, l’altro vanta una tradizione secolare che si inscrive nella logica dello scambio programmatico. Il primo è un dono-evento non calcolabile, qualcosa che precipita dall’alto come una bomba o un dio, il secondo è l’abitudine di alzare i fatturati dei centri commerciali. Donare significa appunto sottrarre a sé ma anche sottrarsi da sé, per porgere all’altro. È escludere una parte di sé. Sacrificarsi escludendosi. Dunque eccede la singolarità per cedere l’eccedenza sottratta.

Il dono, dice Derrida, va incontro a delle aporie perché non appena esso viene riconosciuto smette di essere dono e diventa scambio. Allora il dono migliore è quello che non viene aperto. Nel momento in cui si è parte attiva dello scambio come ricevente, si sveste il suo involucro e diventa oggetto. C’è uno smembramento: la cosa da una parte e la carta stracciata dall’altra. Nel circuito economico di accumulazione delle cose, il dono viene svelato nella sua propensione alla cosa, alla materialità dell’atto e dell’oggetto, per cui permane un mero feticcio.

Nel riconoscimento del dono (lo stesso grazie) troviamo che esso ritorna ed entra nel circolo economico dello scambio. Qualcosa che non posso vedere perché, se potessi vederla arrivare, tutto sarebbe tranne che un evento, dal momento che la sua marca distintiva è la non programmabilità, al di fuori da qualsiasi attesa. Pertanto se lo si vuole conservare, fare in modo che sia un dono, è necessario riconoscerlo. Ma nel momento del riconoscimento il dono smette di essere tale ( e diventa scambio). Questa è la sua tragedia.

 

Federica Serafinelli studia Filosofia alla Sapienza. È appassionata di arte, piante esotiche, lunghe passeggiate in luoghi da esplorare e nei quali perdersi.

 

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