Successo anche in Italia, trasmessa in esclusiva su TIMVISION, per Killing Eve. Come già accaduto nel resto del mondo (come dimostra l’immediato via libera alla seconda stagione). La serie britannica è scritta da Phoebe Waller-Bridge (Fleabag) e vede come protagoniste Sandra Oh (volto storico di Grey’s Anatomy) insieme Jodie Comer (già ammirata in My Mad Fat Diary, The White Princess). La storia è tratta dai romanzi di Luke Jennings: otto gli episodi di questa inedita spy-story, da molti critici considerato il miglior prodotto televisivo di questo autunno – se non dell’intero 2018..

La storia: Eve Polastri (Sandra Oh), agente dell’MI5 (il servizio segreto britannico), è sulle tracce di una pericolosa criminale, una sociopatica assassina che opera in tutto il territorio europeo, Villanelle (Jodie Comer). La caccia è aperta. I ruoli, seppur apparentemente definiti, si mescolano sovrapponendo vita professionale e vita privata. Dunque due ritratti femminili opposti. Eve è ambiziosa, una poliziotta che ha fatto carriera e ha conciliato una vita matrimoniale stabile con l’insegnate polacco Niko Polastri; appare come una persona felice, ma compressa in una vita monotona. Villanelle invece è una donna dai mille volti, imperscrutabile, vive a Parigi, ma è sempre in viaggio per poter adempiere ai suoi doveri di assassina professionista, ha una vita sentimentale instabile e un passato oscuro e tenebroso, che viene svelato a piccole dosi. Due rette parallele che cercano di incontrarsi, e non solo di scontrarsi.

Ma è il come e non il cosa a rendere Killing Eve una serie da vedere e su cui vale la pena riflettere.

Il simile nel dissimile. “E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” (Nietzsche). Questa frase identifica l’intenzione narrativa di Killing Eve.

Durante il suo lavoro di spionaggio e d’indagine, Eve finisce nell’abisso, anche biografico, della sua nemica, cerca di scoprirne le origini, il vero nome, il modo di vivere. Questa immersione è una forma di auto-scoperta della propria oscurità. Un piacersi di fronte allo specchio quando indossa il vestito regalatole da Villanelle.  Un gioco di simili dissimiglianze.

Ciascuna delle due riconosce qualcosa di sé nell’altra, che sfocia nella pura ossessione e nell’attrazione. La dicotomia dei ruoli è netta: Poliziotta – Eve – il Bene contro Assassina – Villanelle – il Male. Sotto le superficiali maschere imprigionate dai ruoli prestabiliti, si nascondono tuttavia tantissime sfumature di personalità che alterano ogni percorso prestabilito. Chi sono davvero Eve e Villanelle? Cosa si crea tra loro? L’attrazione fatale tra le due protagoniste rimane come sospesa: è qualcosa che c’è, ma non si mostra.

La stessa forma di narrazione visiva rimanda a questo simile nel dissimile, a una prossimità nella lontananza e a una lontananza nella prossimità. Nulla è lineare, certo, visibile.

La coralità. “Se scavassi più a fondo probabilmente scopriresti che lavoriamo per le stesse persone” (Villanelle). Queste persone creano un sistema corale di personaggi secondari altrettanto interessante. L’ambiguità di ciascun carattere costituisce il quadro emotivo della serie e, per questo, non si riesce mai a capire fino in fondo chi stia dalla parte di chi.

Come, ad esempio, l’agente Bill Pargrave, collega di eve. È sposato e ha una figlia, ma con centinaia di passate esperienze omosessuali. Lo stesso vale per Carolyn Martens, il capo di Eve, responsabile della sezione russa del MI6, immagine granitica della giustizia, che s’incrina inesorabilmente dopo scelte molto discutibili (come allontanare Eve dal caso a un passo dalla risoluzione del caso). Oppure Kostantin, il capo di Villanelle: è lui a dare gli ordini alla sicaria, le fa visita e si prende cura di lei, salvo poi che anch’egli fa parte dell’Intelligence russa.

Personaggi doppi e travagliati, simili nella loro dissimiglianza, ambigui, lacerati, contraddittori.

L’internazionalità. La serie è ricca sparatorie, inseguimenti, e pestaggi che vengono ambientati in tutta Europa: Vienna, Londra, Parigi, Bulgaria, Toscana, Berlino, Mosca. Una spy-story sicuramente di respiro internazionale anche per le lingue: Villanelle parla italiano, inglese, francese e russo.

La moda. Villanelle è un’assassina di talento e questo lavoro le permette un lusso sfrenato, dai bellissimi appartamenti di Parigi alle macchine costose, passando per la moda. I vestiti sono la sua fissazione. Non a caso decide di catturare l’attenzione di Eve, donandole dei capi costosissimi. C’è qui una rottura dell’idea di villain, Villanelle è infatti circondata dalla bellezza. Promana bellezza. Bellezza, letteralmente, mortifera. Tuttavia, bellezza. A conferma di questo l’apparire, al di là degli stereotipi, sia ricco di contraddizioni.

  

La colonna sonora. Come spesso accade nelle serie dalla particolare fattura visiva e narrativa, anche l’accompagnamento sonoro dimostra una peculiare ricercatezza. E Killing Eve non fa eccezione. Musiche riflessive con voci calde e profonde che permettono allo spettatore di immergersi completamente nel proprio, personalissimo, abisso. Brilla su tutti il trio alternative pop Unloved che meritano forse un ascolto al di là della serie.

Qui la playlist Spotify originale!  

Tagged with: , , , ,