Wish you were here”: potrebbe essere questa frase a riassumere la vera tensione che abita fin dall’inizio la terza stagione di True Detective. Complessa e intensa come la prima. Tutto merito di Rust Cohle, l’inarrivabile personaggio creato da Nick Pizzolatto e interpretato magistralmente da Matthew McConaughey. Per tutta la terza stagione ci si aspetta che salti fuori, da un momento all’altro: e nel settimo episodio accade proprio questo, anche se in forma indiretta. Pertanto, non c’è modo migliore di avvicinarsi alla nuova stagione se non attraverso un accostamento che avrebbe fatto felice uno storico dell’arte folle e geniale come Aby Warburg, il teorico della migliore comprensione di una forma culturale attraverso la regola del “buon vicino”. Cosa c’è di più vicino alla tonalità emotiva della terza stagione se non proprio la copertina più complessa della musica pop, quella dell’album dei Pink Floyd “Wish you were here” del 1975?

Il sentimento che attraversa il loro album, fin dal titolo, è la mancanza sofferta del leader del loro gruppo Syd Barrett. Se riescono a mettere giù questo lavoro è proprio grazie a lui, nonostante non faccia più parte del gruppo. In copertina, due uomini si stringono la mano: uno di loro, però, sta andando visibilmente a fuoco. Ma nella lingua inglese, getting burned, significa anche fallire. E il protagonista della terza stagione, il detective Wayne Hays, non farà altro che fallire, nella vita e nel lavoro. A stringergli la mano potrebbe essere benissimo Rust Cohle, il detective maledetto della prima stagione, sostenitore di un pessimismo radicale. In entrambe le stagioni al centro c’è l’illusoria consistenza del tempo e il costeggiare la follia, quella stessa follia che portò proprio Syd Barrett sul lato oscuro della luna, come non smetteranno di cantare i suoi amici. Complessità messa accanto a un’altra complessità: la risonanza come la più autentica delle spiegazioni, dei dispiegamenti.

Così, allora, anche grazie all’illustrazione di Francesco Murrone, abbiamo pensato di rendere omaggio a una delle serie più belle di sempre e all’approccio pop filosofico che l’ha reso possibile.

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