un estratto dal libro Lady Gaga – la seduzione del mostro di Alessandro Alfieri, edito da Arcana, dedicato alla Star internazionale e brand commerciale che ha costruito un autentico impero finanziario, Stefani Germanotta alias Lady Gaga

Ricostruire la produzione videomusicale di una delle icone più acclamate della musica pop e della popular culture come Lady Gaga significa addentrarsi nelle problematiche relative alla ricerca estetica e artistica messa al servizio della promozione commerciale. Il successo dell’artista americana è dovuto alla sua capacità di circondarsi di creativi, videomaker e stilisti di indubbio livello, ed ogni elemento di cui si costituisce il suo immaginario ha contribuito alla sua ascesa nell’olimpo della cultura di massa. In Lady Gaga, le strategie di fascinazione dirette e indirette, esplicite e subliminali, si coniugano alla ricerca video-narrativa, a quella più strettamente visiva (scenografica e coreografica) e a quella formale (stile di fotografia, regia). Per Lady Gaga, scrivere canzoni e realizzare videoclip sono parte di un medesimo processo creativo e questo perché la cantante esibisce la propria contraffazione attraverso una dimensione promozionale che si perpetua attraverso una strategia autoriflessiva.

La maggior parte dell’attenzione, critica ma anche accademica, rivolta al fenomeno Lady Gaga si è concentrata sulla (indiscutibile) connessione tra il personaggio e il dibattito degli ultimi anni sulla cultura transgender e LGBT: si tratta dell’interpretazione di Lady Gaga quale paladina dei diritti civili (cosa tra l’altro comprovata da una sua frequente partecipazione pubblica sul campo), ma anche del suo travestitismo che si riferisce spesso alla confusione e sovrapposizione dei generi, alla continua alternanza degli stessi quando non a una diretta androginia, con la conseguente problematizzazione e ricomprensione del pensiero femminista. Ridurre il fenomeno Gaga a questa prospettiva però rischia di svilire uno dei più accattivanti fenomeni della popular culture contemporanea, declinandolo a quella che probabilmente è la sfera più lontana dalla sua sensibilità, ovvero la dimensione morale (sia se la si accusa in termini reazionari, sia se la si esalta per il suo presunto impegno).

La sperimentazione audiovisiva di Lady Gaga si accompagna a una sofisticata strategia di autopromozione e di marketing, incentrata spesso sul superamento delle dicotomie che strutturano l’esistenza e la morale (Donna/Uomo, Bene/Male, Vittima/Carnefice), superamento che alimenta la produzione video tanto sul piano visivo quanto su quello narrativo. A questo si accompagna la logica dell’eccesso e dell’ipervisione, in altri termini la logica della sua dichiarata ed esplicita “mostruosità”. Questo riguarda tanto la produzione video di Gaga quanto i suoi numerosi servizi fotografici, primo tra tutti quello del 2009 firmato da Annie Leibovitz, dove Gaga non si mostra quale icona sensuale in posa provocatoria, tutt’altro: diventa un personaggio fiabesco di Hansel e Gretel, una strega dai costumi visionari ed eccessivi, parodistici e ironici ma anche profondamente teatrali. La ricercatezza artistica del suo brand così sottomette al fine commerciale e autopromozionale ogni angolatura della realtà: la tragedia, la cronaca, la Storia, la tradizione cinematografica, l’arte e persino la morte, diventano tutti veicoli di un’operazione per molti versi iconoclasta di celebrazione del personaggio, basata sulla trasversalità, la s-differenziazione e sugli effetti iperspettacolari transestetici.

Lady Gaga è il personaggio esemplare per comprendere il passaggio epocale tra due differenti fasi del capitalismo estetico, quella della società dello spettacolo, così come fu teorizzata da Guy Debord, e quella definita da Gilles Lipovetsky dell’ “iperspettacolo”: se la società dello spettacolo continuava a produrre celebrità e idoli di massa, la società dell’iperspettacolo ricicla vecchie icone, offrendo un consumo nostalgico elevato alla seconda che «spettacolarizza lo spettacolo stesso».

Dedicare un saggio alla figura poliedrica di Lady Gaga significa addentrarsi in una fitta rete di ambiti e settori che spaziano dall’estetica contemporanea al dibattito sul post-umano, dalle più recenti tendenze del fashion alle tematiche proprie dei gender studies; in questo, il ruolo assunto da Gaga nell’universo dell’alta moda e la sua relazione con esso sono elementi distintivi essenziali per comprenderne il successo. L’estetica transeunte ed eternamente “cangiante” di Lady Gaga, nel pieno spirito postmoderno del flusso ininterrotto e nella cifra dell’eccesso visionario, è tipica della moda contemporanea, che sfrutta spesso la strategia della ri-appropriazione per sfruttare l’attrazione nostalgica nei confronti del passato. In Gaga coesistano le due dinamiche proprie del “lusso postmoderno”, e questo significa che quello di Gaga non è solo un “look”, lei non si presta ai dettami delle griffe, ma fa del fashion lo strumento performativo privilegiato per la costruzione (incessante e continua) del suo personaggio, che così si eternizza nel suo continuo rinnovarsi, un rinnovamento che passa sempre attraverso la riemersione parodistica di stilemi e caratteristiche di epoche trascorse e di altri divi.

Industria dello spettacolo e sofisticate strategie di seduzione fanno della cantante di origini italiane una neo-diva dalle specificità espressive e comunicazionali uniche per la loro potenza ma anche per il loro valore di sperimentazione nell’orizzonte della popular culture massmediale. Un saggio dedicato alle strategie seduttive e all’estetica di Lady Gaga potrebbe venire concepito come un appendice del volume di Lipovetsky e Serroy L’estetizzazione del mondo: la complessità di tali strategie, l’approccio sofisticato adottato dal “brand” Gaga, la complementarietà di dimensione commerciale e sperimentazione estetica investita in maniera eclettica, sono tutti fattori caratteristici della fase transestetica del capitalismo estetico contemporaneo. L’estetizzazione dell’economia è senz’altro l’ambito principale nel quale il capitalismo globalizzato si sviluppa, ma come sottolineano gli autori non è affatto vero che alla negatività morale e sociale corrisponda necessariamente un disvalore estetico, anzi: l’economia del capitalismo ipermoderno si avvale di un’abbondanza di narrazioni, stili, produzioni audiovisuali, in grado di alimentare immaginari seduttivi non affatto ovvi e prevedibili. Come affermano Lipovetsky e Serroy infatti, è proprio nel settore dei “mercati della sensibilità”, della moda, del design, della cultura pop che si affermano le innovazioni più originali e qualitativamente significative.

Lady Gaga è il personaggio esemplare per comprendere il passaggio epocale tra due differenti fasi del capitalismo estetico, quella della società dello spettacolo, così come fu teorizzata da Guy Debord, e quella definita da Gilles Lipovetsky dell’ “iperspettacolo”: se la società dello spettacolo continuava a produrre celebrità e idoli di massa, la società dell’iperspettacolo ricicla vecchie icone, offrendo un consumo nostalgico elevato alla seconda che «spettacolarizza lo spettacolo stesso».

Lady Gaga perciò non sarebbe solamente un episodio a latere dell’arte contemporanea, una sorta di manifestazione popolar-culturale che ha la presunzione di elevarsi rispetto ai colleghi e contendenti sfoggiando una ipotetica superiore sensibilità artistica: Gaga rappresenta il risultato più coerente ed efficace della tendenza transestetica che fa saltare definitivamente i confini tra arte e mercato, investendo la prima come mezzo per il secondo; nell’epoca transestetica e nel mondo di Gaga, designer e stilisti si scambiano le parti con gli artisti per ridefinire l’orizzonte visuale della produzione industriale e creare immaginari dove l’arte legittima ed eleva culturalmente i marchi e i brand. Per questo non si tratta affatto, secondo Lipovetsky e Serroy, di impoverimento della dimensione estetica, ma dell’affermazione dell’homo aestheticus, un consumatore drogato dal consumo e bulimico di novità, che si affida ormai più a uno sguardo estetico che non a uno utilitaristico.

In questo, l’ipermodernità lipovetskiana si congiunge pienamente con la tendenza postmoderna intesa come trionfo dei significanti e dimensione dello shock perpetuo: nella dis-assolutizzazione dell’arte, si sovrappongono arte e divertimento, stile e tempo libero, spettacolo e turismo, bellezza e gadget. In tutto quest’ordine di problemi, il fashion assume un’assoluta centralità: il fenomeno della moda infatti contamina tutti i settori fino al “surriscaldamento”, perché garantisce esperienze cariche di emozioni e di godimento, possibili solo a condizione dell’istantaneità della percezione e della creatività.

Su un tema intendo concentrarmi ulteriormente per sottolineare questo legame tra le tesi sull’estetizzazione del capitalismo contemporaneo e il successo di un’icona pop quale Lady Gaga: si tratta della rifunzionalizzazione della dimensione morale rispetto all’estetico, in rapporto alla trasformazione del significato della Storia e del passato e alle considerazioni che i filosofi e sociologi svolgono a proposito del kitsch. La dimensione estetica, per gli autori de L’estetizzazione del mondo, è la dimensione dell’edonismo e dell’emozione irriducibilmente soggettivi, occasione di evasione individualista lontana dalla conformazione ai codici sociali; Lady Gaga, esemplare ideale e tipico della postmodernità transestetica, come già detto si affida totalmente a quella che Jean Baudrillard definisce “orgia dei significanti”, e tuttavia diversi interpreti sono disposti a rintracciare nella strategia seduttiva di Gaga una precisa “intenzionalità morale” e perciò di natura collettiva; infatti Amber Davisson in diverse occasioni lascia trapelare una dimensione “progressista” nella produzione di Gaga, come per esempio per l’approccio parodistico nei confronti del modello classico della cantante pop sensuale, o soprattutto per il rilancio di una comunità effettiva, i “Little monsters” ovvero i suoi seguaci e fans, per i quali la mostruosità non è solo quella della star nella sua esposizione eccessiva e teatrale, ma anche la possibilità per loro di affrontare le proprie paure; per questo celebrità e mostruosità diventano.

Come abbiamo iniziato a dire, caratteristici della terza fase del capitalismo estetico sono fenomeni quali il revival, il neo-retrò e il pastiche postmoderno; il recupero della storia nel postmoderno è un recupero autentico, che attesta un sentimento di nostalgia veicolato a una crescente tendenza morale di riappropriazione del passato e legittimazione della memoria. Ma il trionfo dell’apparenza della superficie sensibile corrisponde a un esclusivo recupero della dimensione estetica e non etica; nell’immaginario di Gaga la Storia e il passato sono svuotati di valore e restano simulacri seducenti, che non comunicano per il loro significato testimoniale e riflessivo ma per il loro potere attrattivo.

Se la nostalgia del passato tenta di recuperare i punti di riferimento della tradizione, in realtà questi elementi vengono assunti nell’esclusività della loro prospettiva visuale e attrattiva, esclusivamente formalistica ed estetica. Stesso discorso possiamo fare a proposito della violenza, che alimenta l’immaginario e l’estetica dell’eccesso di Gaga nella maggior parte della sua produzione, in consonanza con la tendenza propria di molto cinema odierno.


 

Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei mediaDal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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