Arriva il decreto? No, non è arrivato. Sì, è arrivato. Forse. Gigino è in ansia. Luigi Di Maio va in procura. Giuseppe Conte prega Padre Pio. Salvini è in Rai a mangiare gli avanzi della Prova del Cuoco. I contorni bizzarri della vicenda legata alla stesura del decreto fiscale sono numerosi. E su essi si eserciterà la satira, la battutistica (anche triviale) da social network. Ognuno penserà di essere più intelligente, preparato, competente o, solamente, più accorto dei membri del Governo. Risate su risate. E tutto sembrerà risolto.
C’è però un elemento teorico interessante in questa vicenda, che ritorna ciclicamente nella modalità con cui Luigi Di Maio si relaziona al reale, e merita di essere preso in considerazione, prima di ogni supponenza intellettualistica e prima ancora di una riduzione satirica. Questo perché in questa piega di pensiero si nasconde molto del successo personale suo e del Movimento di cui fa parte.
Ideale – Ogni persona costruisce nel corso della vita una propria visione ideale, un’insieme di concettualità che funzionano tra loro e costruiscono il mondo. Basta fare riferimento al proprio sé e a come si elabori la scala valoriale del mondo personale e si vedrà come questo connoti la propria esistenza. Le personalità politiche tendono a esplicitare questo universo ideale, a tramutarlo da qualcosa di singolare in qualcosa di collettivo. I discorsi, i post, le ospitate televisive di Luigi Di Maio sono ormai una sedimentazione sufficiente di una visione ideale-politica ben precisa. A tratti, bizzarra. A tratti, inconseguente. A tratti, contraddittoria, Però una visione complessiva, che tiene insieme le direttrici fondamentali dello stare-insieme sociale.
Realtà – Come nella vita personale, anche in quella politica la visione ideale si scontra, pur nella sua universalità di concetto, con una parzialità di fondo. C’è sempre qualcos’altro, qualcuno che non è d’accordo e avanza altri valori, la contingenza negativa, l’impossibilità dei mezzi, l’incapacità di tramutare il pensiero in atto. Quando si arriva al reale, si ha quell’esperienza che, con un terminologia quasi psicologistica, si potrebbe definire delusiva. Al reale manca qualcosa della bellezza armonica e perfetta dell’ideale, sempre. Luigi Di Maio, da quando è stato chiamato a confrontarsi con la realtà del governare, sta affrontando inevitabilmente forme delusive di questo tipo. Lui come Salvini, Lui come altri, prima e dopo. Lui, come ciascuno nel proprio vivere quotidiano.
Questa esperienza di contrasto tra i due piani porta, usualmente, all’aggiustamento del primo (ideale) sul secondo (reale). Di solito, non sempre.
Complottismo – C’è però una via d’uscita concettuale e comportamentale che permette di sottrarsi. Ed è quella di immaginare che la realtà non sia propriamente deteriore nel suo presentarsi, ma che in verità le forme di deterioramento siano espressione di una precisa strategia nascosta. Come se ci fosse un complotto finalizzato a sabotare l’ideale che diventa reale. Una manina. Un funzionario. Un giornale. Una religione. Un motore di ricerca. Una casa farmaceutica. C’è sempre un elemento alieno che si aggiunge e dimostra di far parte di questo grande oscuro nesso di casualità che domina la contingenza e rende il reale reale, cioè qualcosa di difettivo, dove l’ideale non riesce a trovare la via di essere.
Il complotto è un residuo argomentativo decisivo che motiva la reazione di Di Maio e offre la cifra fondamentale di una visione del mondo che contraddistingue in grande parte il Movimento 5 Stelle. Se il reale non si adegua al pensiero ideale, di chi è idealmente onesto, è il reale a essere “sbagliato”, a essere guidato da soverchianti forze negative.
Deresponsabilizzazione – Ora, una volta che il quadro è stabilito, non resta che trarne le conclusioni. Il complotto è presupposto di ogni deresponsabilizzazione. Se anche si prova a cambiare il reale, nel caso di Di Maio a cambiare l’Italia, c’è sempre un filo oscuro che lega ogni ostacolo e contingenza che impedisce il cambiamento. Oggi, una manina. Domani, un funzionario. Dopodomani, un cantante. Tra un mese, un panettiere. La dinamica di pensiero è sempre al medesima: l’ideale che non diventa reale non necessita di scendere a patti con quest’ultimo, perché questo non ha valore in sè, ma è espressione di un complotto (che sarebbe grande come il reale stesse e quindi implicherebbe anche l’ideale, ma questo sarebbe un altro discorso).
Non c’è mai quindi una forma di reale avanzamento esperienziale. Non si impara oggi per il domani. Si riparte sempre dalla purezza dell’ideale che non trapassa sic et simpliciter nel reale. E quindi si possono moltiplicare gli errori, si può restare fermi al punto di partenza, ma non ci sarà mai addebito alcuno di responsabilità personale o politica.
Ecco, si può ridere per la manina e tutto il resto. Prima però è meglio, seguendo l’adagio spinoziano, intelligere.
Credit Foto: Pagina Facebook Luigi Di Maio

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