È complicato ragionare lucidamente sulla vittoria di Mahmood all'ultimo Festival di Sanremo, una vittoria che ha già suscitato una serie di polemiche e prese di posizione spesso deliranti e sconclusionate. A intensificare le polemiche il dato reso noto relativo al televoto, che avrebbe consacrato Ultimo come vincitore con ampio vantaggio su Mahmood. Tradizionalmente il vincitore di Sanremo deve tenere insieme due prospettive difficilmente conciliabili, e l’importanza dell’edizione 2019 sta nel fatto che questa esigenza è stata pienamente soddisfatta; si tratta da un lato di rispondere alle esigenze del mercato, e perciò di riflettere le dinamiche sociali e culturali che definiscono l’immaginario, dall’altro più semplicemente di premiare il brano che all’interno del codice della musica pop esprima un margine di originalità e sperimentazione formale, oltre che dimostrare doti tecniche di scrittura ed esecuzione. Soldi di Mahmood sdogana la scena neo-black (connessa in qualche modo alla trap) introducendola nell’orizzonte della musica popolare, ma non solo: la sua vittoria non può essere tacciata di reazionarismo da parte dell’establishment progressista e sinistroide, e non ha alcun significato politico per quanto sia possibile che la giuria volesse affibbiargliela a tutti i costi. Dalla prospettiva del marketing la scelta è dettata dalla chiara consapevolezza del bacino sconfinato al quale Mahmood si rivolge e potrebbe rivolgersi in prospettiva: c’è il legame con la periferia suburbana (proprio come Ultimo, non a caso arrivato secondo), abitata da giovani che ascoltano e consumano musica; c’è l’ovvio riferimento a una classe di consumatori inquadrati nell’emigrazione di seconda generazione, sempre più importante e decisiva perché trattasi di una porzione di cittadinanza in netta crescita, che rivendica orgogliosamente un riconoscimento sociale oltre a una specificità etnica e culturale. E poi c’è soprattutto lo sguardo al Nord Africa, un mercato immenso che in merito a cantanti, calciatori e attori che si sono affermati in Europa rivolgono una stima e un’attenzione maniacali, fino a farne feticci di identità culturale e sociale, simboli di riscatto del continente sfruttato. Tutto questa prospettiva, decisiva, si è coniugata quest’anno con la valutazione di un brano che è incommensurabilmente superiore agli altri in gara: da un punto di vista strutturale, le sezioni sono tante (strofa, bridge, prechorus, chorus, e lo straordinario special verso la fine del brano); l’arrangiamento (sia nella versione in studio sia nella traslazione per orchestra), costruito su una sessione ritmica controtempata e dalle sonorità molto ricercate, è una delle cosi migliori scritte da Charlie Charles, beatmaker alfiere della scena trap. La melodia coniuga la vocalità di Uum Kulthum alla r’n’b: la linea vocale non è per nulla ovvia e la metrica del cantato si discosta da quella (terribile) moda sanremese del cantato-parlato costruito sulla declamazione in 4/4 (vedi Cristicchi e il 70% dei brani in gara, e non a caso tutti i cantanti sul podio hanno questa attenzione nella costruzione melodica). C’è poi il contenuto del testo nel quale, lontano dal didascalismo giovanilistico di Ghali, Mahmood offre uno sguardo introspettivo su un problematico rapporto familiare. Si tratta proprio come Sfera Ebbasta della volontà di riscatto, ma rispetto a Sfera (non a caso la ripetizione di “Come va” sembra citare il noto singolo del trapper Tran Tran) qui si tratta della rivendicazione della propria identità e del proprio successo in chiave intimista e intersoggettiva: non c’è rivendicazione sociale se non in maniera indiretta, anche perché paradossalmente una determinata interpretazione del testo potrebbe mettere in luce una continuità di senso con l’astio diffuso in tempi recenti per gli emigrati (padre egiziano che beve durante il ramadan e si presenta in casa solo per chiedere soldi, dopo aver abbandonato la famiglia). Interessante anche l’ “ironia” del ruolo dei soldi, che nella scena trap hanno sempre rappresentato l’ostentazione della ricchezza sempre come strumento di rivincita; qui la richiesta ossessiva di soldi è invece la messa in evidenza del comportamento di un profittatore. In questi termini, Mahmood proviene dalla galassia della nuova musica trap, ma è il primo a superarla mettendola in questione o complicandola: nulla di meglio in termini di potenziale attrattivo. Possiamo anche dichiarare quanto segue: se la giuria demoscopica e la sala stampa si sono battuti al fine di far vincere Mahmood, qualsiasi fosse la ragione di questa posizione (effettiva competenza tecnica come credo, semplice simpatia, ideologismo politico e paternalismo in riferimento all’ “emigrato”, antipatia per Ultimo o quant’altro…), la verità è che hanno fatto bene! Photo credit www.rtl.it
Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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