Lo scorso 8 novembre, con l’aiuto dei miei colleghi, ho somministrato a tutte le terze dell’Istituto dove attualmente insegno Filosofia e Storia, il Liceo Scientifico e Linguistico “C. Miranda” di Frattamaggiore, una prova parallela di filosofia da svolgere con l’esclusivo utilizzo dello smartphone. Una prova smart.

Certo, qualche altra scuola italiana aveva fatto già un tentativo analogo, ma le informazioni reperibili in rete sono davvero esigue per conoscerne l’esito e se ci saranno altri impieghi in futuro.

Quello che però è accaduto nella mia scuola è stato qualcosa di unico: è stato pubblicato, il giorno dopo aver svolto la prova, un report sull’esperienza che ne analizzava potenzialità e criticità. Questa riflessione è indice, in realtà, di un cambiamento in atto nella scuola italiana, e forse nella scuola in generale.

Non ci si può più limitare al semplice uso strategico delle nuove tecnologie, perché sempre più urgente diviene la riflessione critica su questo uso. Un momento che non mira a demonizzare e a condannare, ma a prendere atto del cambiamento e a prepararsi nel mondo migliore per affrontarlo.
Gli studenti non possono essere sottratti più alla complessità. Il che vuol dire che bisogna metterli davanti all’ambiente in cui sono immersi e che non vedono, come se fossero pesci nell’acqua.

La scuola “smart”, o se vogliamo 3.0, fa delle tecnologie più avanzate il perno strategico della didattica, per riflettere su questi stessi strumenti e sulla loro pervasività. Farne il perno strategico significa che si può utilizzare lo smartphone per svolgere una prova, innanzitutto per renderla differente. Oppure questo stesso oggetto può diventare il centro di “digiuni digitali”, che possono essere raccontati. Proprio come ho fatto fare ai miei studenti: per una settimana, dovevano raccontare la loro vita senza cellulare attraverso suggestivi “diari della disconnessione”, esercitando così la loro competenza nel raccontar storie.

A proposito delle storie: riconoscere la caratteristica “smart” al solo smartphone è davvero limitante. Oggi molte cose sono mutate, passate al livello “smart”. Pensiamo solo alle serie tv e alle piattaforme che ci consentono di vederle. Così, da qualche anno, oltre all’uso didattico dello smartphone, ho deciso di far misurare i miei studenti con le cosiddette “nuove serie tv” per potenziare la didattica delle discipline che insegno.

Misurarsi con le serie tv significa avere a che fare con le narrazioni più potenti e complesse in circolazione, con ricadute didattiche notevoli: gli studenti sono chiamati, ad esempio, a completare la narrazione seriale prolungandola su altri media come blog e social network.

Si cimentano, così, in esperimenti di transmedia storytelling, ovvero nella strategia narrativa più stimolante e creativa in circolazione.

Smart sono anche le microcamere indossabili, come le goPro e simili, che possono trasformarsi, con l’aiuto della didattica smart, in dispositivi per il potenziamento dell’empatia e non solo.

Smart sono i nuovi linguaggi, come quello utilizzato soprattutto dai più giovani dei “meme”, che possono essere utilizzati per divulgare e fare esperimenti didattici, come introdurre, attraverso la filosofia, a un tema di un’altra disciplina: l’arte contemporanea.

Smart è la scuola, che non può essere più come prima.

Credit: illustrazione di Francesco Murrone


Tommaso Ariemma (Napoli 1980) è un pop-filosofo e professore di Filosofia al liceo. Già docente di Estetica presso le Accademie di Belle Arti di Lecce e Perugia, ha dedicato numerosi volumi al rapporto tra arte, corpo e media nella società contemporanea.

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