Si è appena concluso il Mobile World Congress di Barcellona, l’evento internazionale che riunisce le figure più importanti dell’industria della telefonia mobile (e non solo), contando fra i suoi partecipanti sviluppatori, produttori e fornitori da ogni parte del mondo. Sono molte le meraviglie presentate nel corso dell’esposizione, dai telefoni a schermo pieghevole, alle dimostrazioni della nuova tecnologia 5G, dagli smartwatch a schermo circolare, fino al meno appariscente, ma forse più interessante, MinePhone.
Il concetto è molto semplice, uno smartphone in tutto e per tutto funzionante, che sia in grado di effettuare il mining di criptovalute (in questo caso Ethereum) durante il suo normale utilizzo. Cos’è il mining? – è ormai esperienza frequente il trovarsi ad ignorare il funzionamento degli strumenti informatici che ci circondano, sarà dunque più semplice e utile rispondere alla domanda “a cosa serve”, piuttosto che “come funziona”. Il mining ha due scopi: il primo, fissare la cronologia delle transazioni di criptovalute. La scrittura avviene tramite processi di calcolo molto dispendiosi a livello di hardware, in modo tale che sia impraticabile modificare il registro. In questo modo i miners ricevono un compenso per le transazioni registrate. Il secondo, introdurre nuove monete nel sistema.
Dal momento che quello delle criptovalute è un sistema monetario totalmente decentralizzato, non abbiamo un ente regolatore (una banca centrale) che gestisca la produzione di valuta. L’erogazione è gestita da un algoritmo che definisce quantità e ritmo di produzione delle nuove unità. I minatori registrano le transazioni in blocks (blocchi) che poi consegnano alla blockchain, la catena con tutte le transazioni eseguite. Tuttavia, per consegnare il blocco e ricevere l’agognato compenso, il minatore dovrà risolvere un complicato problema matematico (automaticamente generato dal broadcast network), affidandosi alla forza bruta del suo hardware (parliamo di calcoli mostruosi e un numero impressionante di tentativi, il che rende la risoluzione del problema qualcosa di molto simile ad una lotteria).
Tutto ciò richiede di solito degli investimenti non indifferenti, un sistema di mining casalingo può arrivare a costare diverse migliaia di euro, incidendo significativamente sulla bolletta dell’elettricità. A causa di ciò alcuni minatori si riuniscono in gilde, spedendo macchinari in altri paesi dove i costi sono minori e spartendosi i guadagni. Il MinePhone - Questo nuovo prodotto promette così di mettere nelle mani di ogni cliente un piccolo kit da minatore, rendendolo insieme operaio e guardiano della blockchain, garante della funzionalità e della sicurezza del sistema.
Non è la prima volta che la parola mining viene proposta per designare complesse operazioni con i dati. I colossi dell’economia contemporanea, che vedono nei dati un capitale potenziale, sfruttando complesse operazioni di data mining mettono a lavoro queste informazioni, e di conseguenza i loro produttori, i prosumer. Quella che fino a questo momento poteva essere letta come una modalità “industriale” di sfruttamento della produzione di informazioni, può ora, con le possibilità aperte dal MinePhone, entrare a pieno titolo in una fase speculativa, o “finanziaria”, di sfruttamento di questa forma di capitale, appunto i dati generati dai dispositivi mobili. Come spesso succede, la tecnologia non solo rende l’uomo più efficiente, ma lo mette in condizione di fare cose che prima non erano possibili (non erano pensabili). Quella particolare creatura che è il prosumer, potrebbe a questo punto essere soggetta ad un’ulteriore mutazione, in grado di ristrutturarne capacità e prerogative, dando vita ad un animale che non solo produce consumando, ma che al contempo contribuisce a garantire e sostenere l’amministrazione della ricchezza, tramite la sua semplice presenza online.
Credit Photo: Instagram account bitwingsworld

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