Con Ethan Hunt ti diverti da matti. Perché la cosa che Mission Impossible ha e nessun altro film di superspie ha, è che Mission Impossible è l’unico film che si diverte (e parecchio) a delegittimare se stesso.

C’è una battuta nell’ultimo MI:6. È una battuta apparentemente di poco conto, ma ripetuta un paio di volte. La dice Erica Sloan (Angela Bassett) capo della CIA riferendosi alla IMF (Impossible Mission Force), ed è questa:

sono solo dei bambini con delle maschere che si divertono a fare dolcetto o scherzetto

Poi ce ne è un’altra, di Solomon Lane (Sean Harris):

La sua missione, se deciderà di accettarla. Mi chiedo, Ethan, hai mai deciso di no?

“Your mission, should you choose to accept it. I wonder, Ethan, did you ever choose not to?”
“A bunch of grown men in rubber masks playing trick or treat”

Ora, ci sono due motivi per cui Erica e Solomon dicono una frase del genere:

  1. Richiamandosi al classico “trucco” dell’IMF, lo scambio di identità, Erica Sloan sta cercando di ridicolizzare Hunt e la sua squadra per farne perdere in credibilità.
  2. Sta dando una “indicazione formale” per guardare tutto MI.

È chiaro che la natura della prima motivazione è interna alla narrazione, cioè ha a che fare con i fini dei personaggi, i loro movimenti, il proseguimento del film, mentre la natura della seconda è esterna alla narrazione e ti sta avvertendo: non prendere troppo sul serio MI, non cercare di immaginare come realistico uno scenario del genere, guarda quanto è ridicolo Ethan Hunt che va in vacanza scalando a mani nude una montagna del canyon (MI:2) o che si fa uccidere con una scarica elettrica per farsi rianimare due secondi dopo (MI:3) o che scala un grattacielo con due ventose (MI:4) o che trattiene il respiro sott’acqua per minuti e minuti senza morire (MI:5) o che compie un HALO (High Altitude Low Open) da 25mila metri (MI:6), e divertiti.

L‘ umorismo della finzione e la serietà della realtà

Il fatto che poi la scena sia stata eseguita davvero da Tom Cruise, senza alcuna controfigura, e che abbia saltato davvero (insieme al cameraman) da 7mila metri, apre un altra riflessione su quanto si prenda sul serio l’attore e quanto meno lo desideri il personaggio. Ma non è questo il luogo per analizzare un twist del genere.

Le rose profumano per mestiere

Cosa accade quando Luther atterra dall’elicottero e calpesta la BIP sbraitando perché ha sporcato le scarpe di Gucci (MI:2)? O quando Ethan ritorna nell’hotel direttamente dalla finestra dopo aver corso su un grattacielo e Benji abbassa i toni con un «tanto ce la fa sempre» (MI:4)?
Quello che accade è che si innesca un dispositivo che funziona su due direttrici:

  1. Stempera il grado di pretesa della sequenza. Funziona perciò come un depotenziatore di attese.
  2. Evidenzia i topoi della narrazione utilizzata, in questo caso i film di spionaggio dove la superspia alla fine porta sempre a casa la missione “impossibile”.

Una cosa non molto lontana da quanto ha compiuto Stanislaw J. Lec quando ha affermato che «le rose profumano per mestiere», rimarcando il topos del poeta attento ai profumi della natura e via dicendo.

Del resto se esistesse una storia canonica della “filosofia” dell’umorismo – tema dell’ultimo festival di Popsophia a Tolentino (guarda i video sul canale YouTube) –  non potrebbe che non iniziare con il sorriso di Democrito e con la sua confessione a Ippocrate, il più grande medico di tutti i tempi inviato lì per curarlo: «Ciò che suscita la loro bramosia è ciò che sta fuori della loro portata: quando abitano sul continente vogliono il mare; insulari, devono vivere sul continente. Deviano tutto nella direzione del loro personale desiderio. In guerra sembrano lodare la virilità, ma giorno dopo giorno si abbandonano alla dissolutezza, all’amore per il denaro, a tutte le passioni che li rendono malati. Sono tutti dei Tersiti della vita. Allora perché, Ippocrate, mi hai rimproverato di ridere? Non c’è uomo che rida della propria insensatezza»

Il fatto è poi che in Mission Impossible l’elemento umoristico è costruito talmente a regola d’arte che finisce per essere, inevitabilmente, metacinematografico. Finisce cioè per fare, mentre il film scorre, autocritica del film che scorre.

Mission Impossibile spia se stesso

Ma siccome l’informazione, l’elemento di “criticità”, non arriva mai, come in House of Cards, interrompendo il flusso base della narrazione, e viene invece sempre dall’interno della narrazione stessa, cioè è “previsto” dalla sceneggiatura principale, allora quello che accade è un vero e proprio atto di spionaggio, il vero atto impossibile, dell’IMF ai danni/vantaggi di MI.

Quindi no, non è tanto una questione di effetti speciali o altro. L’unica saga di spie che fanno cose fuori di testa è quella di Ethan Hunt. E mentre Bond è tutto concentrato in un serissimo product placement (cellulari, orologi, sfilate di moda) Ethan e la sua banda ci ricordano la più antica forma di saggezza: la vita è troppo seria, per prenderla seriamente.


Credit Foto: pagina Facebook Mission Impossible Fallout

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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