È ancora poco conosciuta, sottovalutata da chi ne ha sentito parlare, decisamente migliorabile per chi la conosce e ne fa uso, ma il suo potenziale resta indiscutibile. Netflix Party è un’estensione di Google Chrome che permette di sincronizzare al secondo la visione dello stesso contenuto Netflix su due o più computer. In altre parole, fan di serie come Stranger things o Narcos potranno decidere di guardare le nuove stagioni insieme, anche se comodamente nelle proprie case, e all’unisono, per vivere contemporaneamente le stesse emozioni ed esorcizzare così il pericolo pubblico numero uno della società contemporanea: lo spoiler.

Gratuitamente scaricabile, tale estensione offre anche un servizio di online chat mediante una barra fissa al lato delle immagini, permettendo così la condivisione e il commento istantanei, parole-chiave della civiltà dei social networks. Da questo punto di vista, infatti, Netflix Party si inserisce alla perfezione nel processo di individualizzazione, o ancor meglio di fruizione isolata di contenuti narrativi. Quel flusso continuativo e sempre a portata di click che è lo streaming ha infatti determinato la crisi, o perlomeno la messa in discussione, di due aspetti precedentemente fondamentali di questo tipo di fruizione: programmazione e attesa, sintetizzabili nel concetto di palinsesto. Esso è una vera e propria visione del mondo, un’idea, una strategia atta ad organizzare un’offerta di contenuti audiovisivi. Ogni canale TV ha una sua filosofia elaborata da uno e calata sui molti, e crea in questo modo attorno a sé un determinato pubblico dalle più o meno riconoscibili caratteristiche “antropologiche”.

Ora, tali caratteristiche non svaniscono nel nulla e si riflettono sui nostri gusti, sul preferire ad esempio Lost in space a Tredici o Il segreto a Bojack Horseman. Ciò che svanisce è piuttosto l’idea di una offerta unilaterale ed eterodiretta, sostituita dall’autonomia assoluta, la quale, a sua volta, non si esaurisce nella scelta tra varie visioni del mondo, non è cioè la semplice libertà del telecomando, ma connette questa all’autonoma determinazione del dove, del quando e del quanto. Nel flusso cioè svanisce l’imposizione dell’attesa: non devo aspettare Natale per i regali, posso farmene da solo quanti ne voglio, quando mi pare.

L’isolazionismo è però solo una prospettiva attraverso cui inquadrare tale fenomeno. Senza dubbio è vero che l’autonomia dello streaming svincola dalla sottomissione alle scelte operate da quell’oscura lobby mondiale che sono i creatori di palinsesti televisivi. E, scherzi a parte, non è un segreto il fatto che abbia contribuito alla diffusione di quegli autosegregati che in Giappone chiamano hikikomori. Dall’altro lato però, si conserva anche in tale contesto l’esigenza perenne ed oggi più che mai concretizzabile della condivisione.

È questa del resto la forza del palinsesto televisivo: la classica zia che telefonava alla vicina di casa dopo pranzo per commentare gli ultimi avvincenti sviluppi della travagliata storia d’amore tra Brooke e Ridge. Netflix Party salva insomma capra e cavoli – o forse sarebbe meglio dire – valorizza gli aspetti più rilevanti dello streaming, da un lato, e del palinsesto, dall’altro: autonomia e comunità. Il flusso continuativo che sfugge a qualsiasi eteronomia si arricchisce dell’unico elemento proveniente dall’organizzazione dei palinsesti in grado appunto di non imbrigliarlo, quello della sincronizzazione. La possibilità di una sincronizzazione, intesa non come mero conformismo, o peggio radicalizzazione in gruppi chiusi, ma come possibilità di esperienze condivise: non è forse questa la via maestra alla perfettibilità che ci si spalanca innanzi all’uomo nell’epoca dei social media?


 

Lorenzo Di Maria, molisano, è laureato in Filosofia con una tesi sulla fine della storia e del politico in Alexandre Kojève. Ha pubblicato articoli per Globus, Players e Lo Sguardo.

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