Che ci faceva Paolo Bonolis alla Leopolda? Per alcuni si è trattato di un endorsement a Renzi, ma si tratta di una ipotesi non corroborata da nessuna risposta, allusione, accenno. Certo, Bonolis è laureato in Scienze Politiche ma è innegabile che, politicamente, non si sia mai esposto. Il fatto nuovo è in questo caso proprio l’apertura di Bonolis alla dimensione comunitaria, un’esposizione socio-politica (senza endorsement) in cui ha avuto modo di dimostrare come il suo distacco sia esattamente ciò che ha reso possibile quella che è un’attenta, saggia, visione del mondo.

Non è mai stato negato a Bonolis un certo spessore culturale e intellettuale. Allo stesso tempo, però, moltissimi sono coloro che lo hanno accusato di non aver fatto programmi “alla sua altezza”. È di qualche mese fa un articolo di Beatrice Dondi per L’Espresso col titolo “Che spreco Bonolis, un talento che si butta via”. La carriera del presentatore romano è effettivamente connessa a programmi raramente apprezzati dall’intellighenzia. Basti pensare a varietà, giochi e quiz diversamente demenziali come Occhio allo specchio!, Tira e molla, Non è la Rai, Bulli e pupe, Beato tra le donne, Affari tuoi, Avanti un altro! e infine la chicca, Ciao Darwin. Peraltro, anche lì come alla Leopolda 9, a tema Ritorno al futuro, c’era una specie di DeLorean, di macchina del tempo, guidata in quel caso – particolare da non sottovalutare – non da un “Doc” o da un Matteo Renzi ma da Luca Laurenti, massimo esempio della affollatissima “fauna” di personaggi bizzarri, “casi umani” come spesso li definisce, di cui ama circondarsi Bonolis nei suoi programmi.

In realtà, nel corso di quasi quarant’anni di carriera sono rintracciabili alcuni esempi di televisione “di livello”. Si pensi alle due edizioni di Sanremo da lui egregiamente dirette, alla sua Domenica In, allo stesso Chi ha incastrato Peter Pan?, vero e proprio esperimento di psicologia infantile, e soprattutto a Il senso della vita, un vero gioiellino di quello che si potrebbe definire un “marzullismo” fatto bene. Si tratta però, appunto, di casi isolati, significativi, ma rari e quasi ininfluenti nell’economia di un’intera carriera televisiva, insufficienti per assolverlo dalla colpa di cui si macchia ogni intellettuale nel momento in cui si presenta come disengagé, disimpegnato dal punto di vista politico-culturale. Lo “spreco di talento”, soprattutto se “fatto per soldi”, e il disinteresse sono infatti percepiti dall’ambiente mediatico intellettuale come la maxima culpa.

Ma sarà davvero così? Cotanta intelligenza sarà davvero andata quasi del tutto sprecata? O si tratta di una visione limitata? In tal senso, il momento di incontro con la comunità ha permesso di esplicitare ciò che, da questo punto di vista, restava perlopiù implicito in Bonolis. Ciò che si fa generalmente fatica a comprendere, relativamente alla sua metodologia professionale, è che la sua TV è una TV dell’Io o del Tu, ma quasi mai del Noi o del Voi (carattere che emerge nel presentatore romano solo quando si parla dell’Inter, squadra di cui è tifoso illustre e sfegatato). Questo lo rende un personaggio pubblico atipico: lo è nel momento in cui è apprezzato e amato; non lo è nella misura in cui non fa mai di sé una parte del pubblico. Ricordo chiaramente quando, a Tira e molla, signore di una certa età chiamavano in diretta per giocare con lui e ai loro “Paolo, ti amo!”, Paolo rispondeva con silenzi imbarazzati, cinismo, superiorità e sfottò d’ogni tipo.

Questo punto emerge chiaramente nell’intervista rilasciata a Renzi, nel momento in cui dice di diffidare sempre di quei produttori che preferiscono restare avvinghiati a format prestabiliti per venire incontro alle preferenze del pubblico televisivo. L’immedesimazione con la gente, proposta dal mondo della produzione italiana, viene sostituita da una personalizzazione assoluta della scrittura autorale, dell’idea, del gusto, del messaggio, della narrazione. Attraverso una tale personalizzazione, la sua TV considerata “spazzatura” riesce, a guardar bene, ad assumere caratteri significativi: a Ciao Darwin era il caos a farla da padrone, un rumore assordante di applausi, urla, canzoni stonate, fischi, giochi nonsense, lustrini, vecchi con la bava alla bocca e belle donne in abiti succinti. Eppure Bonolis e la sua celeberrima parlantina riuscivano a sovrastare e guidare il generale disordine, operando una commistione proficua tale da ingenerare anche un qualche messaggio, andando cioè a risemantizzare “personalisticamente” il trash. In un senso uguale e contrario, ne Il senso della vita, come Bonolis ricorda anche alla Leopolda, il significato emergeva proprio attraverso la scelta del silenzio: il pubblico non applaudiva, lui stesso diceva poche cose essenziali, le domande non instradavano ma si esaurivano in immagini di fronte alle quali gli intervistati erano invitati alla libera associazione. Ancora una volta, non si costruiva un Noi partecipativo ma era la persona, non l’Io-Bonolis ma il Tu-intervistato, ad esprimere significati.

Il rifiuto della dimensione politica e comunitaria del Noi, che empaticamente si muove insieme, consente a Bonolis di assumere una consapevolezza profonda della realtà stessa. Il suo disimpegno gli permette di non aderire a nessun modello preimpostato, di fuggire la pesantezza del metodo e del messaggio retorici e preconfezionati. Come dice a Renzi, sono proprio la leggerezza e il cinismo che tanto gli vengono criticati a fungere da perfette chiavi di lettura del circostante, della società, della storia, della stessa politica. Interessante in proposito è la visione disincantata di un Bonolis che ha colto, dall’alto del suo disimpegno, quel movimento ciclico che caratterizza la politica tutta: «a ogni scelta corrisponde matematicamente una rinuncia; chiunque governa prova a fare delle scelte; chi non governa non deve far altro che cavalcare la rinuncia che corrisponde a quella scelta, esasperandola; tutti quanti noi che pur vorremmo quella scelta ma non siamo più in grado di accettare il concetto di rinuncia, sposiamo chi protesta; quello passerà al potere e dovrà fare delle scelte; l’algoritmo si ripete». Il finale è esplosivo: «E noi stiamo come criceti su una ruota pensando di correre verso il futuro».

Bonolis ha così segnato la Leopolda renziana più di quanto si creda. L’intellettuale disimpegnato, quello che coglie i movimenti lasciando parlare gli altri davanti ad immagini (Il senso della vita) o sovrastando in prima persona il caos guidando il trash in senso “rappresentativo” (Ciao Darwin), ha rivelato al politico riunito in comunità il segreto più intimo della politica: chi decide deve sopportare il peso di ciò a cui ha dovuto necessariamente rinunciare. Ogni “ritorno al futuro”, secondo questa prospettiva, non è altro che un criceto che, in un verso o in quello opposto, ricomincia a correre, a vuoto.


 

Lorenzo Di Maria è laureato in Filosofia con una tesi sulla fine della storia e del politico in Alexandre Kojève. Ha pubblicato articoli per Globus, Players e Lo Sguardo.

Tagged with: , , , , ,