Lo spazio del Festival di Sanremo, specie da quando nel 1955 è divenuto uno spettacolo televisivo, ma fin dalla prima edizione di 70 anni fa, travalica lo spazio della mera kermesse musicale; “prima”, “durante” e “dopo”, Sanremo riesce a far orbitare attorno a sé polemiche, critiche, valutazioni più o meno stimolanti che ne esaltano il carattere di “spettacolo” nazional-popolare.

Che cos’è spettacolo? E che cos’è cultura? Sono domande che Sanremo rilancia anno per anno senza mai dare una risposta esauriente, soprattutto perché una risposta non può essere data. O tradotto in altri termini, Sanremo conferma anno per anno di essere contemporaneamente spettacolo e cultura, avvalendosi innanzitutto dello spirito di negazione che alimenta l’evento. Sostenere che Sanremo non sia cultura significa sottolinearne il carattere culturale in termini dialettici.

Perciò è la negazione che fonda il fenomeno di Sanremo; d’altronde, la fruizione e il consumo di musica – fenomeno soprattutto italiano – si fondano su una logica dialettica di inclusione e contemporaneamente di esclusione. Questo perché noi prendiamo molto sul serio la musica: la musica non è solo musica, ma è anche e soprattutto ciò che gli sta attorno, sopra, sotto, prima e dopo. Ascoltare un genere o un artista significa già caratterizzarsi dinanzi agli altri, ma la stessa cosa funziona anche nel disprezzare o respingere un determinato genere o artista. Sanremo funziona allo stesso modo: respingerlo caratterizza culturalmente il proprio profilo.

La negazione assume così una funzione identificativa: ai nostri giorni è il genere della Trap a fare questo, richiamando su di sé innanzitutto il disprezzo e l’odio più che il senso di appartenenza e l’attrazione. Non serve ricordare come sia complessa la dinamica di attrazione/repulsione per la psiche umana, ovvero la complementarietà di eros e thanatos per la quale spesso ciò che più ci repelle coincide proprio con ciò che più ci seduce e ci affascina.

Tra le tante polemiche pre-Sanremo, che già annunciano e inscrivono l’evento in un quadro specifico, c’è la negazione della dignità della donna: basti pensare alle critiche relative a Junior Cally, che sarà presente col brano intitolato – guarda un po’ – No grazie. Il caso Junior Cally, figura iconicamente costruita sulla sottrazione e sulla negazione perché sempre mascherata, ha fatto tristemente coppia con le polemiche relative alle parole di Amadeus del “fare un passo indietro”. Ovviamente l’affaire Junior Cally non fa leva sul brano ancora inascoltato, ma su un vecchio brano dal titolo Strega:

Violenza misogina ed esaltazione della crudeltà sessista: elementi evidenti, inammissibili a Sanremo ma che fuori sono un po’ ovunque, declinati in vario modo. Negazione e repulsione strutturali al fenomeno e alla sua musica (l’odiatore sessista), che vengono trasferiti ovviamente sul lato del fruitore (l’odio per l’odiatore sessista), in una spirale cinica che potrebbe proseguire all’infinito (i fan di Junior Cally, a partire da Sanremo, saranno odiatori degli odiatori dell’odiatore sessista ecc.ecc.)

E se i brani di Sanremo sicuramente avranno modi più politically correct, è pur vero che essendo spettacolo Sanremo è da subito vetrina commerciale: per quanto nazional-popolari, molti titoli dei brani in gara si presentano al pubblico attraverso una negazione. Una negazione che fa riferimento all’oltre-Sanremo in Sanremo stesso; oltre a Junior Cally, Achille Lauro (Me ne frego) e Anastasio (Rosso di rabbia).

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