Scienza trasparente: la democrazia “a 370 gradi”

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Scienza trasparente: la democrazia “a 370 gradi”

Il Movimento 5 Stelle ha elaborato una proposta di legge per istituire una commissione per il controllo della divulgazione scientifica in TV. Interpellata sull’argomento a L’Aria Che Tira, la ministra Barbara Lezzi ha risposto, con estrema innocenza, che l’idea è semplicemente quella di diffondere i vari “filoni argomentativi” così che ognuno possa farsi un’opinione personale e in modo da permettere alla stessa comunità scientifica di confutare le tesi dimostrate come false.

L’intento di informare i cittadini “a 370 gradi”, al di là di un lapsus pur emblematico, esprime al meglio l’ideologia che anima fin dalle origini il M5S, ossia quella della trasparenza totale, intesa come assoluta visibilità e immediata disponibilità. La spinta democratizzante, valore fondativo del MoVimento, si declina nella possibilità di esercitare di esercitare un costante controllo sulle verità manipolate e le mistificazioni attraverso cui opererebbe ogni Potere costituito. È l’utopia di una cittadinanza attiva in quanto informata, utopia sostenuta da molti teorici della cyber-democrazia per i quali la totale disponibilità informativa permetterebbe un incremento in termini di intelligenza collettiva, di cultura, partecipazione, autonomia e quindi democrazia. Ma la libertà, politicamente inoppugnabile, di informarsi e dunque crearsi un’opinione personale è davvero possibile di fronte alle teorie scientifiche?

Senza troppi giri di parole, la risposta è no. E lo è perché una domanda del genere è semplicemente mal posta. La scienza non è elitismo e autoritarismo antidemocratico, come crede chi propone di “democratizzarla”. Il metodo sperimentale che da Galileo in poi anima qualsiasi disciplina scientifica e permette di dimostrare varie ipotesi e di confutarne altre, è già di per se stesso lo strumento più democratico che possa esistere: nato per fronteggiare i vari ipse dixit, il principio di auctoritas – quello sì antidemocratico – il metodo sperimentale ha rappresentato la via d’uscita dal Medioevo. Come? Esercitando il dubbio, quello scetticismo che ha aperto la modernità, l’era dell’individuo libero.

Si dirà: non è lo stesso scetticismo che anima la proposta a 5 stelle? Certo di scetticismo si tratta. Ma – ed è questo il punto – non di dubbio metodico, scientifico, ma iperbolico, quello che trabocca sempre nel “complotto”, nel credere sinceramente – per restare a Cartesio – nell’esistenza di un qualche genio maligno e ingannatore. Il problema non è dunque l’esercizio del dubbio quanto piuttosto un dubbio che si avvita su se stesso, che non sa uscire dalla pars destruens, che non sa ricostruire criticamente la realtà. È questo lo scarto tra il complottismo e la scienza: anche le teorie più strampalate possono avere “una certa logica” ma la verità può esser determinata solo attraverso le regole del ragionamento critico e una sperimentazione empirica che fornisca prove evidenti.

Nessuno scienziato dirà mai di possedere “la” verità unica e intangibile. Ma il metodo per correggerla, eventualmente, resta unico e invariato. E non si intende qui una regola decisa e a disposizione solo di una ristretta casta di esperti. Ha anch’essa una matrice ultra-democratica, proprio nella misura in cui si tratta di fare un uso pieno (non accecato dal feticismo del dubbio) di quegli strumenti osservativi e razionali che appartengono a ciascun essere umano in quanto tale.

L’errore del M5S si comprende se lo si rapporta alla Riforma luterana. Su cosa si fondava quest’ultima? Lutero pensava fosse essenziale che ogni singolo fedele potesse leggere nella propria lingua le Sacre Scritture e interpretarle autonomamente, senza cioè la mediazione esercitata dalla Chiesa cattolica e il suo apparato esegetico sedimentato in secoli di tradizione e imposto agli adepti, tenuti in uno stato di minorità. La proposta di legge in questione è esattamente un tentativo di recuperare lo spirito del Protestantesimo ignorando però un punto fondamentale: non si tratta qui di interpretare testi o di decidere liberamente come vivere la propria dimensione intima fideistica, ma di conoscere la natura, la realtà esterna, scientificamente. Il M5S lascia trasparire l’equazione per cui scienza=religione, o, meglio, comunità scientifica (la stessa – per tagliar corto – che è sempre interpellata per la divulgazione televisiva) = chiesa, ergo elitismo a cui segare le gambe, obelisco da tirar giù.

Ma cosa ci sarebbe oltre la scienza, se non una lotta contro dei fantasmi quali possono essere il genio maligno, donchisciotteschi mulini a vento, scie chimiche e mancati allunaggi? Cosa si potrebbe ricostruire razionalmente se non le stesse teorie già dimostrate? E come lo si potrebbe fare se non attraverso quel metodo sperimentale che non ubbidisce a nessuna auctoritas? L’informazione scientifica “a 370 gradi” tradisce dunque, ancora una volta, come l’idea di democrazia del M5S sia il frutto di un fraintendimento, quello per cui ogni decisione debba essere rimessa sempre e interamente al popolo, ignorando come “democrazia” non implichi solo l’esercizio indiscriminato di un potere ma prima di tutto un metodo, una visione del mondo.


 

Lorenzo Di Maria è laureato in Filosofia con una tesi sulla fine della storia e del politico in Alexandre Kojève. Ha pubblicato articoli per Globus, Players e Lo Sguardo.

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