I numeri di Sfera Ebbasta, giovane re della scena hip hop italiana e massimo esponente della variante “trap”, fanno impressione: concerti sold out ovunque, ma soprattutto 6 milioni di riproduzioni su Spotify in un solo giorno e due sue hit (Rockstar e Cupido) nella top 100 internazionale della piattaforma, oltre all'ingresso alla Global Chart con ben 7 brani. La radicalità della relazione di Sfera coi propri fan o con gli heaters passa spesso per la fruizione immediata in real time dei social: sarebbe impossibile, a partire dalla pervasività dei dispositivi e dei social, immaginare l’esistenza di due entità distinte come spesso si è fatto in passato a proposito delle star. Non è possibile distinguere lo Sfera “cafone”, eccessivo, goliardico dei live, delle interviste, dei clip dei post, da uno Sfera che manovra la propria stessa performance con una sorta di distacco creativo (come accade, per esempio, all’attore teatrale): la massmedialità è troppo pervasiva, non ci sarebbero tempo e spazio. Come per Lady Gaga non c’è iato o distanza tra performance e performer, ma neanche tra esibizione e vita. Sfera è un personaggio che ha fagocitato il creatore: rispetto alle tradizionali dinamiche dell'industrie discografica infatti, il successo di molte neo-star come Sfera arriva attraverso la libera iniziativa nell’ambito del web, senza intermediazione ad esempio di un Malcolm McLaren (autentico ideatore, creatore  e geniale manovratore del fenomeno “Sex Pistols”), un Colonello Parker o un George Martin. Assistiamo alla medesima dinamica che è appartenuta storicamente al gangsta rap: come ha messo in evidenza Mark Fisher, l’ostentazione esasperata e talmente eccessiva da apparire grottesca e delirante del lusso e della ricchezza è il mezzo di riscatto da parte di chi è emerso dalla precarietà, dal disprezzo istituzionale, dalla periferia, dalle difficoltà tipiche della contemporaneità. La plastificata performance iperbarocca composta da diamanti sui denti, outfit Gucci, effetto autotune alla voce, è la dialettica del riscatto sociale raggiunto attraverso l’eccesso, dove l’esibizione del denaro diventa la più pura ed essenziale comprensione del non-senso intrinseco del denaro stesso, che diventa parte della scenografia massmediale. L’esibizione e l’eccesso diventano perciò strumenti di esclusività estetica, che negano qualsiasi dimensione morale che viene recuperata al fondo del capovolgimento del mito capitalista: come per i cantanti della West Coast, l’introduzione nel mondo degli affari e della ricchezza vera da parte di un membro della gleba, un emarginato, un paria (non solo in senso economico e sociale, ma soprattutto dalla prospettiva culturale e “artistica”), fa saltare il meccanismo contaminando il mondo patinato dei vip ufficiali. Il barlume di eticità della sfida di Sfera sta nella performance complessiva che gli ha concesso di introdursi nell’olimpo dell’industria discografica e musicale, come una sorta di terrorista. Icona perfetta di come il tardo-capitalismo contempli la sua stessa negazione: il trionfo del lusso e dei soldi sono paradossalmente, nel medesimo momento, sia il trionfo dell’incremento del capitale immateriale e culturale (che si traduce ovviamente in merce monetizzandosi), sia la volontà di opporsi a quell’ordine costituito, e perciò una risposta, una rivincita da parte di chi il sistema aveva previsto restasse ai margini rispetto ai guadagni reali e al riconoscimento sociale.
 
Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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