Salvatore Patriarca, intervenuto nel corso della seconda edizione di Philodiritto, il festival di Popsophia che concilia le tematiche della giustizia con quelle della cultura pop, ha indagato provocatoriamente il concetto universale di famiglia in relazione ai prodotti seriali degli ultimi anni, facendo particolare riferimenti alle serialità create da Shonda Rhimes.

Queste narrazione visive, infatti, sono vere e proprie cartine di tornasole della società che ci circonda e rispecchiano l’universo culturale e sentimentale in cui noi ci muoviamo. L’intento è quello di cercare di comprendere, a partire da cosa viene rappresentato in televisione, le nuove proiezioni immaginarie della famiglia, che dimostrano come essa stessa vada intesa in maniera dinamica.

Il concetto di famiglia, che sotto intende un’idea nucleare costituita da padre, madre e figlio, non è sempre esistito come noi oggi pensiamo: è più o meno dalla Rivoluzione francese, che si arriva all’univocazione di questo  modello, che incarna sotto tutti i punti di vista l’affermazione della borghesia realizzatasi a partire da quel momento.

Ma se facciamo un balzo indietro sino all’antichità, scopriamo che ciò che univa le persone e le legava indissolubilmente non era soltanto il legame di sangue quanto anche la profondità delle relazioni intessute secondo un’asse significativo che creava e teneva unita la comunità. In una delle opere più fortunate di Sofocle, l’Antigone, il riferimento è sempre fatto all’eroina protagonista che sceglie il richiamo del sangue per onorare i corpi dei fratelli morti, Eteocle e Polinice. Eppure, anche dalla parte di Creonte c’è una legge che motiva le sue decisione, una visione più ampia, collettiva, che guarda alla comunità cittadina come a una famiglia allargata di cui si ha il dovere di prendersi cura. C’è dunque sin dall’inizio della storia umana, anche nelle sue forme mitografica, una linea che vede lo stare insieme familiare e comunitario come la possibilità di eccedere ciò che è stato connotato solamente dalla prossimità di sangue.

Esempio – saltando dell’antichità all’attualità – che viene ribadito anche da una situazione pragmatica, seppur non desiderabile in sè, che è incarnata dalla criminalità organizzata: coloro che vi prendono parte non sono parenti, ma il legame di sangue si crea qualora siano uniti dallo stesso scopo e riconoscano l’autorità dello stesso capo/guida.

Senza dilungarsi troppo nelle premesse tese a stabilire come la famiglia sia un concetto molto ampio, soggetto a cambiamenti, che si rende sfaccettato e complicato, poiché numerosi sono gli elementi che lo vanno a comporre e hanno una significatività rilevante, il passaggio all’analisi delle serie avviene attraverso un altro riferimento alla quotidianità di vita di ciascuno. Tale riferimento è l’espressione che spesso si sente dire: “Gli amici sono la famiglia che ti scegli”.

E Shonda Rhimes, creator di alcune delle serie televisive di maggiore successo e la quintessenza della cultura pop statunitense, dedica la sua poetica a dare forma a questo assunto della quotidianità, riuscendo a comunicare nei suoi prodotti cinematografici per il piccolo schermo una vera e propria ridefinizione dell’immaginario familiare. Tutto ciò avviene principalmente attraverso due assi di significatività:

1) La centralità della figura femminile

2) La declinazione in ottica matriarcale di tale figura

Nella visione di Rhimes, la donna non solo è centrale, ma è il fondamento della famiglia che crea e costituisce. Un fondamento che non è biologico, ma che si pone alle basi del concetto stesso di famiglia, inventando gli assi di significatività medianti i quale si realizzano gli atti comportamentali e culturali. La donna crea, quindi, il significato dello stare insieme. Ed è questo il principio fondante; istituisce i significati che tengono insieme la vita degli esseri umani che sono venuti al mondo. Diremmo quindi che la famiglia è strutturalmente e significativamente donna. Non si ha più a che fare con una visione patriarcale del nucleo familiare.

Tre gli esemplari quadri narrativi portati al centro della discussione nell’intervento di Patriarca. Il primo è quello di Scandal, serie televisiva andata in onda per la prima volta su l’ABC americana: la protagonista, Olivia Pope, donna di grande determinazione e dai molteplici legami politici, dedica la sua vita a proteggere l’immagine pubblica dell’élite della nazione e i suoi segreti. Olivia Pope è dentro il potere, lo controlla e lo gestisce grazie alle sue capacità strategiche (lobbying) e alla sua squadra che è costituita da “gladiatori” – personaggi dalla storia personale complessa, ambigua, oscura, che hanno difficoltà nel ricostruire gli ambiti della propria appartenenza familiare. Ed è qui che entra in gioco la costruzione di un universo familiare di natura matriarcale (quello della carismatica Olivia) e dei suoi “figli”. Una famiglia disfunzionale che però funziona benissimo: sono i migliori sul campo. Una famiglia che è tenuta insieme da un asse funzionale, che è il potere. La proprietà di questo potere (solitamente declinato al maschile) è attribuito una donna, che sceglie di essere “madre” e di creare significativamente un nuovo nucleo familiare.

Il secondo esempio è quello de Le regole del delitto perfetto: Annalise Keating è una professoressa universitaria di diritto penale. Agli esordi della serie non ha famiglia, è sposata ma senza figli. Anche qui entra in gioco un principio di costituzione familiare: Annalise è, allo stesso modo, una matriarca e sceglie i figli/studenti da educare, da far crescere. in questo caso l’asse attorno al quale si costituisce la sua famiglia è il sapere. La madre è colei che sa e insegna ai figli, trasmette loro questo sapere. Il sapere femminile della matriarca è la modalità da apprendere per poter stare al mondo realizzandosi come persone/avvocati di successo.

Last but not least, il capolavoro assoluto di Shonda Rhimes, Grey’s Anatomy: Meredith Grey, pur possedendo già un’appartenenza in qualche forma “biologica” al Seattle Hospital (dovuto al legame di sangue con la madre, rinomata chirurga nello stesso ospedale), prova una via autonoma, a formare cioè anche la “sua” famiglia personale con Derek Shepard, con i sui figli. La morte del marito è tuttavia come una conferma del fatto che il suo compito sia qualcosa di più grande. La sua famiglia è più grande di una famiglia semplice, come quella degli altri. Lei è la matriarca dell’ospedale,  l’anima stessa di questa famiglia lavorativa. È lei a tenere insieme la vita emotiva di tutti quanti secondo un ulteriore asse di coagulazione che è quello dell’agire. I medici cosa fanno infatti? Curano, operano. È intorno all’aspetto pragmatico, in cui emerge l’azione salvifica dell’atto terapeutico, che si costituisce questa famiglia. Meredith Grey è il centro di essa, la distributrice di significati esistenziali che riesce a modulare e rimodulare costantemente, affinché tutti restino uniti.

Tre ritratti femminili di donne che sono autonome e che non hanno bisogno degli uomini, se non come dimensione dialogica. La donna è prioritaria. La donna fonda e crea la famiglia dentro la quale si trova.

Emerge quindi una natura multiforme, e popolare, e di successo, delle rappresentazioni familiari. La lontananza dalla costruzione nucleare e patriarcale dell’universo famiglia è abissale. Per questo, conclude Patriarca, quando ci capita di leggere, di sentire o di ripetere quella frase “Gli amici sono la famiglia che ognuno si sceglie”, bisogna soffermarsi a riflettere e cogliere come questo (apparentemente banale) enunciato abbia in realtà una profonda dimensione significativa attorno alla quale, sempre più, si costruisce tutta la nostra esistenza.

Credit Foto: pagina Facebook Grey’s Anatomy Italia

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