Da qualche mese a questa parte, le parole delle canzoni di The André sono sulla bocca – e sulle bacheche – di tutti.

Prendo sempre tre gusti fumo un cono gelato/Ho tre collane al collo sembro un cono gelato/La tua ragazza si scioglie come un cono gelato/Mi tuffo verso i soldi come un doppio carpiato.

Oppure

Mi piace fumare con lei della flora/In altre città d’Europa/Tenerla da dietro e sbanfare l’aroma/Mentre cucina qualcosa/Di appetitoso.

Al primo ascolto si è assaliti dallo sgomento e dall’incredulità: quando mai il Fabrizio De André de Il testamento di Tito o de La guerra di Piero avrebbe cantato una cosa del genere? Probabilmente non lo avrebbe fatto; e così, al suo posto, c’è The André, il nuovo fenomeno del web.
Il prodotto è semplice ed immediato: la chitarra, la voce e il modo – nonché il mondo – del cantautore genovese, si uniscono alla trap e al rap elettronico della Dark Polo Gang, di Ghali e di Liberato.

Il risultato? 53.000 visualizzazioni Youtube in due giorni a cui si aggiungono due dischi Demos e Deluxe, una collaborazione con Dolcenera e un tour estivo che ha toccato Padova (27/6), Roma (4/7), Cassano Magnago (19/7) e che terminerà nelle due date di Treviso e Reggio Emilia, rispettivamente il 30 agosto e il 9 settembre.
Nessun volto dietro Gab Loter (questo è il nome del canale Youtube che ha pubblicato i video); il massimo che concede al pubblico è una sagoma, peraltro non la sua ma del vero De André. Il resto sono immagini legate ai testi per i video su Youtube, e una felpa, degli occhiali e una luce puntata contro per i concerti live.

I motivi per cui questo fenomeno ha monopolizzato il pubblico italiano negli ultimi mesi sono diversi: sicuramente lo scarto comico nel sentire il Faber cantare “prendo sempre tre gusti, fumo un cono gelato” è indiscutibile; a questo si aggiunge l’incredibile somiglianza della voce, del vibrato e della chitarra, a cui sottende un accurato lavoro artistico che sembra far provenire la registrazione direttamente dagli anni ’60.

Eppure, il motivo principale di tale successo è un altro e si configura come la paradossale unione in questo prodotto tra sacro (De André) e profano (Ghali, Sfera, Dark Polo Gang) che diviene, ancora una volta, la chiave di lettura più efficace del reale.

Il filosofo praghese Jan Patočka, nella metà degli anni ’70, lo aveva affermato chiaramente; il sacro affonda le proprie radici in un terreno mitico e si eleva al di sopra di esso soltanto a partire da quest’ultimo, per poi farvi ritorno in un movimento continuo di slanci e ricadute che diviene il movimento stesso della storicità.
E se è vero, come dice Cezanne, che l’opera d’arte deve restituire la verità – almeno quella storica del nostro tempo – “De Andrè che canta la trap” lo fa bene, se pur infingardamente: gioca con le apparenze e con i significati, va oltre la platealità delle immagini uditive e riverbera il paradosso, fino al suo rovescio.
Alla profanità dei testi e del “baby, io sono il contatto” viene accostato l’impianto narrativo – o musicale in questo caso – sacrale del cantautorato italiano che diviene strumento tramite cui si manifesta – ad un più ampio pubblico – la storicità del reale e il suo contenuto.

Probabilmente De André non avrebbe mai detto “mi piace fumare con lei della flora” ma, data la sua fascinazione per il dialetto e il suo sguardo attento al reale, avrebbe sicuramente utilizzato un “Habibi” in qualche ritornello.

Credit Foto: Account Facebook The André


 

Nicole Paglia è laureata in Filosofia e ha scritto su riviste di filosofia e attualità. Studia fenomenologia e cristianesimo. Ha pubblicato un saggio intitolato «L’altro volto del Mediterraneo», sulla necessità di un ripensamento cristiano dell’idea di Europa.

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