Domenica 25 maggio 1986 oltre sei milioni di americani presero parte a un’iniziativa benefica tenendosi per mano per quindici minuti. Di quella catena umana non faceva parte Jordan Peele, il regista di Us-Noi, che all’epoca aveva solo sette anni e che di quell’evento ha conservato un ricordo preciso. Lo spot di Hands across America – così era stato battezzato l’evento per la raccolta fondi a favore delle classi più svantaggiate degli Stati Uniti – apre infatti il nuovo thriller-horror di Peele che torna dietro la macchina da presa dopo l’inaspettato successo di Get Out.

(L’analisi di Us-Noi richiede lo svelamento di alcuni elementi. La lettura non è consigliata a chi non ha ancora visto il film)

L’incontro con l’altro

Nella primavera del 1985 le classifiche mondiali dei dischi più venduti furono dominate da We are the world, il singolo inciso a scopo benefico per sostenere le popolazioni dell’Etiopia stremate da una catastrofica carestia. Pochi mesi più tardi USA for Africa, gli organizzatori dell’iniziativa, cercarono di replicarne il successo questa volta guardando a casa propria. Nasceva così Hands across America: dalla California a New York, milioni di americani avrebbero formato una lunga schiera, mano nella mano, attraversando sedici Stati e Washington DC. I proventi sarebbero stati donati a delle organizzazioni impegnate nell’assistenza ai senza tetto e alle persone in difficoltà economica. L’intreccio di mani passò anche dalla Casa Bianca coinvolgendo il presidente Reagan e sua moglie Nancy. L’obiettivo minimo di 50 milioni di dollari restò però un traguardo lontano: fu raggiunta quota 20 milioni (per il New York Times furono effettivamente distribuiti 15 milioni di dollari).

Jordan Peele, per il quale Hands across America aveva anche “qualcosa di spaventoso”, ne ha fatto un elemento chiave della trama di Us-Noi. A guardare lo spot dell’evento in Tv è Adelaide, la protagonista della storia allora bambina in apertura del film: come Peele anche lei manterrà traccia della lunga catena umana nella sua memoria. Proprio nel televisore vedremo per la prima volta l’immagine riflessa di Adelaide: il doppio, la dualità, diventerà il tema centrale in Us-Noi. In vacanza con la famiglia a Santa Cruz, in una casa degli specchi del parco giochi sulla spiaggia, Adelaide si imbatterà nel suo doppelgänger, non un sé riflesso bensì un sé diverso, un altro-io. Quell’evento sarà un trauma che Adelaide dovrà affrontare molti anni dopo.

Il nemico sotto casa

Terminato il flashback vediamo Adelaide adulta (Lupita Nyong’O), sposata con Gabe e con due bambini, nella loro casa al mare non lontana da quella spiaggia maledetta. La prima sera comincerà l’incubo dei Wilson, una tipica famiglia della middle class americana. La loro casa viene infatti attaccata da quattro individui in completo rosso armati di forbici. Sono identici a loro, una versione malvagia e feroce di Adelaide, Gabe e dei figli Zora e Jason. I quattro sono parte dei Tethered, una popolazione clone che vive sottoterra e che quella notte è uscita allo scoperto per compiere la sua vendetta.

Un primo riferimento di Us-Noi è al genere zombie movie anche se i Tethered non sono dei non-morti ma dei non-vivi, replicanti umani costretti a riprodurre passivamente le azioni che i loro alter-ego compiono in superficie: ogni persona negli Stati Uniti ha un suo corrispondente nel del sottosuolo. Jordan Peele gioca con le grandi paure dell’americano medio: l’invasione domiciliare, la violazione della proprietà privata, l’attacco alla propria incolumità. Ma questa volta la minaccia non arriva da un altrove indefinito, dallo spazio, non è sconosciuta: la minaccia siamo noi stessi. Davanti ai Tethered, Adelaide chiede “chi siete?” e la risposta è “Siamo americani”. Us significa “noi” ma sta anche per U.S., United States: i nemici siamo noi, i nemici degli americani sono gli americani stessi.

La battaglia finale vedrà vincitrice Adelaide e la sua famiglia e il film si chiude con una nuova versione di Hands across America, solo che ora a tenersi mano nella mano sono i Tethered, letteralmente “i legati”. Le mani adesso sono insanguinate e non strette a favore di una giusta causa. Chi ha vissuto una vita nell’ombra, costretto a una marginalità nascosta compie così un gesto plateale replicando quello del 1986. È il rimosso della (cattiva) coscienza americana che riemerge e si prende il suo spazio. L’America deve ancora fare i conti con se stessa, con la sua identità (“Find yourself-Trova te stesso” è scritto nella casa degli specchi dove Adelaide incontra la sua versione rossa). Le storiche contraddizioni della società americana sono ancora irrisolte, i problemi degli anni ’80, l’altra faccia del trionfalismo reaganiano, quegli stessi problemi che le parti più liberal della società hanno cercato di affrontare a colpi di iniziative caritatevoli come Hands across America, trent’anni dopo sono ancora lì.

Il senso di catastrofe imminente, di castigo, riecheggia nelle parole del versetto della Bibbia citato nel film, Geremia 11:11 (ancora una volta il tema del doppio: un duplice numero doppio, ma anche l’unione di quattro unità, come la famiglia protagonista):

“Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”.

La condanna del peccato del popolo di Giuda che si è allontanato da Dio e la denuncia delle ingiustizie sono stati elementi centrali della predicazione del profeta ebreo.

Guanti e t-shirt

Per partecipare alla catena umana di Hands across America fu data l’opportunità di prenotare un posto nella chilometrica schiera a fronte di una donazione di poche decine di dollari. In cambio si riceveva una t-shirt celebrativa. Il cimelio viene mostrato in Us-Noi assieme ad altre due magliette simboliche. A indossarla è la piccola Adelaide che però la coprirà con una nuova t-shirt vinta dal padre al tiro a segno, quella di Thriller di Michael Jackson (l’altra t-shirt simbolica è quella di Jaws-Lo squalo indossata in spiaggia dal figlio di Adelaide: una minaccia che arriva dagli abissi). I riferimenti a Jackson sono molteplici. È appunto l’interprete del singolo campione di vendite degli anni ’80, con il video iconico a tinte horror dove è vestito di rosso, lo stesso colore dell’uniforme dei Tethered, ma è anche l’autore di We are the world (una canzone che i partecipanti a Hands across America avrebbero cantato nei quindici minuti della dimostrazione). Michael Jackson – che Jordan Peele ha definito in un’intervista il “santo patrono della dualità” – è anche quello che spesso andava in giro con un solo guanto, proprio come i Tethered che indossano un guanto di pelle marrone.

La doppiezza e l’ambiguità dell’agire, incarnate dal guanto, richiamano anche un altro personaggio emblematico della cultura pop americana, protagonista di uno dei fatti più eclatanti di cronaca nera e giudiziaria americana: OJ Simpson, tra l’altro esplicitamente nominato in un dialogo del film. Un guanto di presunta morte, macchiato di sangue, che però per l’ex campione di football si rivelerà determinante per provare la sua non colpevolezza.

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