La finale degli assenti. Forse così sarà ricordata la dodicesima edizione di X-Factor. Già perché chiunque si aspettava in finale Leo Gassmann per un motivo e Martina Attili per l’altro. La voce sporca del bravo ragazzo e quella pura della bambola assassina che cantano – incrociati – roba pura e roba sporca. Il bravo ragazzo che adora ogni estate della sua vita e Alice nel paese delle meraviglie dimostra le potenzialità narrative del disagio. Ma loro non ci saranno. In compenso c’è Anastasio, che ha intercettato l’esigenza dei tempi. C’è Naomi che riparte dove Licitra si era fermato l’anno scorso, spingendo ai massimi estremi la sovrapposizione tra lirica e pop/rap. C’è Luna, che si muove come una Britney Spears in miniatura. Ci sono i Bowland, che suonano pure con le bacinelle dell’acqua.

Sarà l’effetto Maneskin, ma l’hype di quest’anno è oggettivamente più basso. Eppure X-Factor continua a funzionare come le patatine. Qual è il suo ingrediente segreto? Aver trovato il perfetto equilibrio tra tecnica e umanesimo. O per dirla più prosaicamente, tra Talent e Reality. Per dirla invece in termini puramente televisivi, X-Factor è la sintesi perfetta tra Maria De Filppi e Carlo Cracco, cioè tra il pieno racconto di C’è posta per te e le lezioni di cucina di Masterchef. Ci sono i Vocal Coach, ci sono le assegnazioni e ci sono le prove ma c’è anche la casa. Non vedi granché, per la verità. Né della casa né delle prove. Il tutto è affidato ai daily – trasmessi in un orario impossibile intorno alle 19.30. Ma è proprio qui il punto: non vedi tanto né dell’uno né dell’altro. Ma quanto basta.

Nell’epoca del dominio del Web, dell’apparente scomparsa della televisione come intrattenimento, di una diversa temporalità del tutto eternamente disponibile per il download, dell’On Demand vissuto in alternativa al palinsesto, questi appuntamenti del giovedì, sono le briciole di una rinnovata laica ritualità che, seppure elimina il luogo, ne conserva due elementi fondanti:

  • l’unicità temporale: è chiaro puoi vederti una puntata in replica ma devi andartene a vivere dall’altra parte del mondo per essere al riparo da spoiler.
  • Il tema del giudizio: è vero, i giudici sono andati in pensione con un numero da record di TILT in una stagione. Ma rimane il giudizio (quello sempre “insindacibile”) del pubblico. E con X-Factor siamo in pieno ambito veterotestamentario. Si giudica sull’azione (la performance) non sull’intenzione, come sarebbe secondo il nuovo testamento.

Perché X-Factor combatte la partita più difficile, quella contro la temporalità del Web. Perché il Web rappresenta la sacra scrittura dell’evento: come l’evento salvifico accade e passa, per rimanere nello scritto, così l’evento televisivo accade e passa, divenendo fruibile solo sul piano del digitale che reitera. Il Web come reiterazione che ferma il tempo.

Sono due modi di intendere lo spettacolo. Per dirla con Proust, le chiese sono già state assassinate ma la domanda rimane aperta: a chi vogliamo affidare la costruzione della prossima nuova teologia?

Credi Foto: pagina Facebook X-Factor Italia


 

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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