
Cosa si rischia con lo shopping online (www.popmag.it)
Un fenomeno preoccupante, noto come “wardrobing”, sta sollevando interrogativi non solo tra i rivenditori, ma anche tra i legislatori.
L’acquisto di abbigliamento online è una pratica sempre più diffusa tra i consumatori italiani, attratti dalla comodità e dalla varietà di offerte disponibili. Tuttavia, un fenomeno preoccupante, noto come “wardrobing”, sta sollevando interrogativi non solo tra i rivenditori, ma anche tra i legislatori. Questo termine si riferisce all’abitudine di acquistare abiti, indossarli per un breve periodo e poi restituirli. Ma quali sono i rischi legati a questa pratica?
Secondo la National Retail Federation, circa il 10% dei resi nel settore della moda è attribuito a usi impropri dei capi. Anche in Italia, il problema è seriamente considerato: la giurisprudenza ha iniziato a mettere in luce le conseguenze legali di tali comportamenti. Ad esempio, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 984/2017, ha classificato il reso fraudolento di un bene usato come truffa contrattuale, evidenziando l’importanza dell’elemento doloso nel comportamento del consumatore.
Sai cosa rischi se compri vestiti, li indossi e poi fai il reso?
In Italia, il diritto di recesso è disciplinato dal Codice del Consumo (D.lgs. n. 206/2005), che consente ai consumatori di restituire i beni acquistati online entro 14 giorni dalla ricezione, senza dover fornire alcuna motivazione. Tuttavia, questo diritto non è assoluto. L’articolo 59 del Codice specifica che non è possibile esercitare il recesso per beni personalizzati, su misura o che rischiano di deteriorarsi rapidamente. Sebbene l’abbigliamento standard rientri generalmente tra i beni restituibili, è fondamentale che il consumatore non alteri lo stato del capo.

L’uso consentito è limitato a quello “necessario per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento del bene”, il che implica che il vestito può essere provato come avverrebbe in un negozio fisico. Indossare un capo per un evento o per più ore supera il limite della prova consentita e può portare a responsabilità.
Il concetto di “uso necessario” si riferisce a quelle azioni che un consumatore medio dovrebbe compiere per verificare se il bene è adatto alle proprie esigenze. Ad esempio, provare un vestito per verificarne la taglia e la vestibilità è permesso, ma se il capo viene indossato per uscire o per un evento, il consumatore rischia di perdere il diritto a un rimborso integrale.
Quando un venditore riceve un reso, può trattenere una parte del rimborso se il capo mostra segni di utilizzo non consentito. In pratica, se il vestito è stato indossato e presenta macchie o odori, il venditore può negare il rimborso o applicare una riduzione proporzionale al deprezzamento del bene.
Restituire un vestito usato simulando che sia nuovo non è solo una violazione del contratto di vendita, ma può configurare un reato di truffa. L’articolo 640 del Codice Penale stabilisce che chi induce in errore un’altra persona, procurandosi un ingiusto profitto, può essere perseguito penalmente. Se un consumatore restituisce un vestito dopo averlo utilizzato e lo fa passare come nuovo, potrebbe affrontare una denuncia per truffa, con pene che vanno dalla reclusione a sanzioni pecuniarie.