Da qualche settimana le tre stagioni di Boris sono disponibili su Netflix. La piattaforma di streaming ha annunciato la sua uscita lo scorso Primo maggio, una data non irrilevante se si pensa che, oltre a parlare di televisione, la serie affronta temi come il lavoro e l’occupazione giovanile. Boris debuttò su Fox nel 2007, in un momento storico in cui il precariato dominava la narrazione del lavoro in Italia, una narrazione che culmina proprio con le celebrazioni della festa di primavera. La serie di Vendruscolo-Ciarrapico-Torre, uno strano prodotto meta-televisivo che raccontava il dietro le quinte di una fiction tv, apriva una piccola finestra su quel mondo di stagisti, tirocinanti e lavoratori temporanei. Il 9 aprile del 2011, all’indomani dell’uscita del meno riuscito Boris-Il film, avvenne la saldatura tra l’oggetto rappresentato dalla serie e parte del suo pubblico. Alla manifestazione di Roma contro il precariato – annunciata qualche giorno prima con un blitz alla conferenza stampa di presentazione della pellicola – si unirono infatti diversi attori del cast di Boris.

Uno scontro generazionale

Da alcuni anni il cinema italiano aveva cominciato a raccontare le difficoltà di un’intera generazione nel mondo del lavoro. Qualche titolo: Volevo solo dormirle addosso 2004, Tutta la vita davanti 2008, Generazione mille euro 2009. Un filone che avrebbe toccato il culmine più avanti, nel 2014, con l’uscita del primo capitolo della trilogia di Smetto quando voglio. Negli anni ’90 la fisionomia del mercato del lavoro era stata avviata al cambiamento dall’introduzione degli strumenti di flessibilità. Qualche anno più tardi cominciava a farsi sempre più netta la frattura tra le vecchie generazioni, tutelate dalle conquiste sindacali risalenti agli anni ‘70, e le nuove generazioni che faticavano a trovare un impiego stabile o almeno adeguato al loro livello d’istruzione e alle prese con contratti atipici. La vera emergenza – era il mantra di partiti, rappresentanti delle istituzioni e dei sindacati – era la disoccupazione giovanile.

Il cinema ha raccontato queste novità. Parole come precari e precariato, lavoro interinale, stage e ‘fuga dei cervelli’ sono entrate nel vocabolario degli sceneggiatori. I protagonisti delle loro storie sono diventati i laureati in cerca di prima occupazione che finiscono a lavorare nei call center, i talenti della ricerca costretti a emigrare all’estero, i tagliatori di teste che studiano da manager per licenziare i dipendenti, i non occupati pronti a tutto.

Nella storia del cinema italiano la funzione di documentare quasi in presa diretta i mutamenti della società è stata appannaggio della commedia di costume. Nel 1975 irruppe al cinema uno dei personaggi simbolo del racconto del mondo del lavoro in Italia, il ragionier Ugo Fantozzi. Il paradigma dell’impiegato col posto fisso che trent’anni dopo rappresenterà il fronte contrapposto a quello dei precari: di là i tutelati, di qua stagisti, interinali e co.co.co. La figura dimessa di Paolo Villaggio è il prototipo del lavoratore medio, del travet dell’apparato parastatale. Il nome dell’azienda dove lavora – la Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica – esemplifica la selva di imprese pubbliche riconducibili alle Partecipazioni statali primorepubblicane, serbatoio di posti sicuri.

Nella saga di Fantozzi viene descritto tutto il microcosmo del lavoro impiegatizio, i suoi riti – dalla timbratura del cartellino al pranzo in mensa al dopolavoro – il suo carattere routinario, ma anche i suoi malcostumi, le prevaricazioni e le vessazioni perpetrate da colleghi e superiori, l’assenteismo e il lassismo dietro la scrivania. A pochi è riuscita l’operazione di Paolo Villaggio che ha dato vita a un personaggio universale, in cui moltissimi lavoratori potevano riconoscersi. Fantozzi è il simbolo del salariato che ha raggiunto la sicurezza economica, perfettamente integrato nella società dei consumi e in possesso di tutti gli status symbol che marcano la sua posizione: è proprietario di un’automobile e di una casa e può permettersi vacanze estive e settimane bianche, oltre a godere di tutte le protezioni di un generoso welfare state.

Dal posto fisso al posto che non c’è

La comicità grottesca di Villaggio e il suo vivido realismo li ritroviamo non al cinema ma in tv trent’anni dopo, in Boris appunto, che è riuscita a inquadrare con lo stesso acume il mondo del lavoro e i suoi nuovi protagonisti. Uno dei personaggi della serie è Alessandro, un ragazzo che riesce a entrare come stagista nel cast tecnico degli Occhi del cuore 2, la fiction immaginaria di Boris. Il punto di vista iniziale della narrazione è proprio il suo: lo spettatore fa la conoscenza degli altri personaggi ed entra nell’universo di Boris attraverso i suoi occhi. Al centro della storia c’è dunque un precario, anzi il più precario dei precari. E nella troupe troverà un altro stagista, assistente del direttore della fotografia, che il capo elettricista si diverte a chiamare ‘schiavo’.

Sono loro i nuovi Fantozzi, in rappresentanza di stagisti e tirocinanti del settore pubblico e privato e dei nuovi lavoratori atipici: come allora anche adesso è facile identificarsi nei personaggi e riconoscere come familiari quelle dinamiche di cui si ride. Alessandro, come tanti lavoratori della sua età, è privo di quelle protezioni di cui gode chi sta al di là del guado nel mercato del lavoro. Si troverà, ad esempio, ad affrontare il problema dell’alloggio e quando riuscirà a strappare uno pseudo contratto alla produzione sarà obbligato dal direttore a firmare in bianco la lettera delle sue dimissioni.

E oggi, tredici anni dopo il debutto, svariati passaggi televisivi tra satellite e canali generalisti, passaparola e visioni pirata, a chi parla Boris? Il suo pubblico storico ha continuato a venerarlo tra citazioni, meme e clip sui social. La sua presenza su Netflix farà espandere questo pubblico o alimenterà solo il culto della sua calorosa fanbase? La velleitaria richiesta di una quarta stagione con una petizione su Change.org potrebbe inclinare il piano verso la seconda risposta. Ma il precariato, che esiste ancora pur non essendo più una novità e che ha cambiato volto reclutando nuove figure professionali, potrebbe continuare a fornire nuovi spettatori alla serie.

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