La settimana scorsa è iniziata la seconda serie di Rocco Schiavone su Rai2. Gli ascolti e la critica hanno certificato, all’unisono (fatto raro), che si tratta di uno dei migliori prodotti seriali degli ultimi anni fatti in Italia. Nel filone dei Montalbano, per intendersi. Perché questo successo? Marco Giallini, Antonio Manzini, Roma, le sigarette? Tutto questo certamente, ma c’è di più che merita di essere indagato.

Rocco – Il primo elemento che va evidenziato è la completa sovrapposizione tra Marco Giallini, l’attore, e Rocco Schiavone, il personaggio. La credibilità attoriale, alla base della qualità delle serie americane, viene spesso poco curata nelle produzioni tricolore. Giallini è uomo maturo, sofferto, quasi immune all’eccitazione del successo, ha esperienza, è abituato a essere parte e non tutto. Un attore formato, capace. E nell’interpretazione di Schiavone si trova completamente a suo agio, perché Rocco, alla fine, è come lui, è esposto suo malgrado, comanda suo malgrado, deve comportarsi secondo la legge suo malgrado. Capacità attoriale e coincidenza caratteriale, la fortuna di una serie.

Romanzi – Altre dimensione connotante la serie è un’attenzione alla sceneggiatura. Scrivere per la televisione è un’operazione più complessa di quanto si possa immaginare. Perdere il filo e la coerenza narrativa è semplice. A permettere di evitare questi pericoli è la solida base letteraria dei romanzi di Manzini. L’universo immaginifico costruito dall’autore romano garantisce la disponibilità di una serie di riferimenti narrativi che danno coerenza e armonia allo sviluppo visivo della vicende di Schiavone. Questa fluidità, semplificando il compito ermeneutico dello spettatore, costruisce quel legame affettivo con la serie.

Roma – Non può essere sottovalutata, nella resa complessiva del prodotto, l’ambientazione romana. La città eterna è essa stessa, in quanto tale, un palcoscenico di storie. Di grandi storie, come quella dell’umanità, e di tante piccole storie personali, come quelle delle persone che la abitano. Questo doppio piano in Rocco Schiavone convive benissimo. L’indolenza verso i compiti da svolgere, il peso di vivere sono le espressioni più tipiche e profonde di una romanità che sa sempre di eccedere se stessa. La primaria ambientazione valdostana esalta ancor più tutto ciò. Aosta, le montagne, la neve instaurano infatti una dialettica dei luoghi, una componente di continua estraneità degli spazi che fa rifluire a ondate una Roma sempre esistente, anche se lontana. Paradosso di distanza e prossimità che la stessa storia di Aosta, con le sue tracce architettoniche romane, dimostra alla perfezione.

LeggeC’è dell’altro in Rocco Schiavone. Il cuore tematico della serie comunica qualcosa in più dell’accurata professionalità della messa in scena. Rocco è un poliziotto, un vicequestore. Il suo compito è far rispettare la legge o, meglio, catturare coloro che non la rispettano. E appunto intorno alla legge ruota la sua vicenda. Che cos’è la legge nella visione di Schiavone? È propriamente una sovrastruttura, un argine successivo, artificioso, che serve per limitare l’eccedenza di male. La legge non porta giustizia, non è giusta la legge. È uno strumento che permette di stare insieme secondo canoni accettabile, di non nocumento reciproco. Qualcosa di difensivo, forse necessario. Ma difficilmente positivo.

CoscienzaLa legge di Rocco è la sua coscienza. È l’umanità che si trova alla basa dell’azione, quella che sa non eccedere, che toglie al ricco per dare al povero, che non danneggia la comunità a essere la guida vitale. È questa la giustizia: il rispetto degli altri, la vicinanza degli amici, lo spendersi per il prossimo, amare i propri cari. Tutto ciò non ha bisogno di una sanzione legale, è vero prima e al di là di ogni legge, anche se si vende un quadro sequestrato o si sottrae qualche etto di marijuana da un sequestro.

Conflitto – Qui emerge allora il vero nucleo concettuale di Rocco, una sorta di riproposizione in chiave moderna della lacerazione dell’Antigone sofoclea tra la legge dello stato e quella del sangue. Rocco vive la stessa conflittualità interna: c’è una norma esterna che deve rispettare e far rispettare, ma si tratta di qualcosa di formale, di morto, che non genera vita. E c’è una legge interna, non scritta, viva, vitale, non codificabile, che rende la vita degna di essere vissuta. Il punto di incontro e scontro di queste due dimensioni è Marina, la moglie. Più precisamente, la morte di Marina. È in quel preciso istante che i due Rocco si toccano dolorosamente: il vicequestore e l’uomo. Lì, in quel momento, si comprende come le due linee simboliche non possano sintetizzarsi. L’una esiste nell’assenza dell’altra. Quando si prova a renderle una sintesi succede la tragedia.

Il carattere insuperabile, nella psicologia di Rocco, della morte di Marina si radica in questa consapevolezza: il due che non può diventare uno. La scissione in Schiavone è la condizione stessa del suo essere, l’unico modo per tenere insieme una legge che non conosce il cuore e una coscienza che non ha bisogno di regole esteriori.

 

Credit Foto: Pagina Facebook Rocco Schiavone-La serie

Tagged with: , , , , , , ,