Il 13 dicembre Anastasio, rapper di Meta di Sorrento, vince X-Factor Italia 2018. Lo stesso giorno, il podcast Ingranaggi diffonde un’analisi del profilo Facebook dell’artista. Semplificando, Anastasio condivide contenuti e segue pagine riconducibili alla nuova destra identitaria e sovranista. La cosa, di per sé, è del tutto insignificante: ognuno può pensarla come meglio crede. Con buona pace di Salmo, “puoi stare con Salvini e fare hip hop”.

Anastasio del resto non teme le contraddizioni. Tornando sulle sue preferenze, ha spiegato: “C’è un caos politico completo. Ho opinioni su fatti di cronaca a volte da una parte e a volte dall’altra, non mi sento di etichettarmi”. Riassunto: “è un casino”. Si potrebbe discutere sulla sincerità o l’opportunismo delle sue parole; anche questa però sarebbe una questione del tutto insignificante.

Ciò che invece interessa è il modo in cui Anastasio sceglie di definirsi. Egli è un “libero pensatore” che, difronte ad un mondo caotico ed incomprensibile, si assume il ruolo di giudicare da sé, fatto per fatto, dichiarazione per dichiarazione, indipendentemente da identità politiche e schieramenti. È curioso come, uscendo dalla politica, questa stessa posizione di solitudine individuale sia anche la chiave per comprendere il senso dell’”inedito” che lo ha accompagnato lungo tutto X-Factor: “La Fine del Mondo”.

“Io” contro “il mondo”

“Non mi alzerò mai
da questo letto sfatto e zozzo
che mi tira giù sul fondo del profondo come un pozzo
e mi ripeto ‘alzati! Almeno muoviti!’
ma ‘ste lenzuola sono come sabbie mobili
e non ho manco sonno”

La lotta quotidiana contro il letto/pozzo/sabbia mobile è il simbolo della depressione. La strofa di Anastasio parla della malattia mentale e di quello specifico tipo di sofferenza che segue la perdita di ogni orientamento esistenziale, della capacità di sentire la possibilità di perseguire e realizzare degli scopi. Non si riesce a scendere dal letto, perché la depressione è la malattia della possibilità.

Non si dorme, non si è svegli, ma si è bloccati in uno stato di immobilità che non prevede il cambiamento. Parafrasando Gorgia, “niente è possibile, se anche qualcosa fosse possibile, non saprei come farla, se anche sapessi come farla, sarebbe inutile”.  Nella seconda parte della strofa si svela il perché, la causa “politica” della depressione:

“ma se mi alzo torno ad affrontare il mondo
e sono tempi bui, il gioco lo conosco a fondo
e sono debole, lui cambia regole a suo piacimento
e vince sempre lui, e vince sempre lui”

Anastasio è solo davanti al “mondo”. Di questo mondo non si sa nulla se non che è forte (mentre “io” sono debole), fa e rifà le regole a suo piacimento (mentre “io” devo seguire le regole, della morale, dello Stato, ecc.) e dunque vince sempre (mentre “io” perdo sempre). La natura inafferrabile e inconoscibile del “mondo” gli deriva dal suo porsi direttamente difronte al soggetto isolato. 

L’”io” non ha scampo, non ha possibilità di padroneggiare questo “mondo” inteso come “totalità dei fenomeni”. L’intelletto (con Kant) e la volontà (contro Kant) del singolo si scoprono del tutto impotenti. È questa la posizione di un individuo che, privato del valore dei corpi intermedi (famiglia, scuola, partito, sindacato) e della loro vivibile parzialità, è nudo e solo davanti alla totalità.

Finirsi per salvarsi

L’”io” contro il “mondo” non può cambiare nulla, perché sarebbe come “soffiare per cambiare il vento”. Ma in questo rapporto a due, dove sono gli altri?

“ma io non voglio far finta di niente
se in giro vedo solo e unicamente facce spente, io
io sogno un mondo che finisca degnamente
Che esploda, non che si spenga lentamente.”

Nel passaggio alla dimensione collettiva l’”io” di Anastasio e la sua malattia si ingigantiscono e si estendono fino a inglobare tutti gli “altri”. Se esistono davvero soltanto l’”io” ed il “mondo”, gli altri non possono che essere semplici ripetizioni dell’unico “Io” impotente e depresso. Si è tutti (“io”) soli davanti allo stesso Sole.

Ne segue che il soggetto si scopre sempre al suo interno “scisso” tra un “io” sanguinante, in cui risiede la sua soggettività, e il “mondo” che pure contribuisce a costituire e a incarnare per ogni altro “io”. Se ognuno è solo sofferenza e ragione di sofferenza per gli altri, l’unica scelta che rimane possibile è la “bella morte”, l’estinzione pirotecnica come unico, estremo gesto collettivo di rivolta.

“Io sogno i led e i riflettori alla Cappella Sistina
Sogno un impianto con bassi pazzeschi.
Sogno una folla che salta all’unisono
fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi
Sogno il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli
sopra una folla danzante di vandali.”

Il soggetto collettivo di questa rivolta non può che essere una “folla” al tempo stesso disorganica (tanti “io” irrelati) e andante all’”unisono”, mossa dalla stessa volontà mortifera (tanti “io” identici nell’essere irrelati). La distruzione, il “vandalismo” non hanno altro significato se non quello della libertà nell’annientamento. Soltanto una cosa rimane da chiarire: perché è proprio la Cappella Sistina a significare il mondo da abolire?

La Cappella Sistina non è soltanto il “Giudizio Universale”, ma è anche la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento. La Cappella Sistina siamo “io”, “tu”, “Anastasio”, “Noi”. È la storia della cultura come insieme di relazioni che, oltre il tempo delle singole generazioni, unisce gli “io” in un unico tessuto vivente. Ed è proprio questo “noi” che la logica binaria della depressione abolisce e porta a disconoscere e a voler dissolvere. Quel “noi” che soltanto può svolgere il compito di Atlante, sostenendo sulle sue spalle il peso del mondo intero.

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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