Venerdì 15 marzo gli studenti di tutto il pianeta sono scesi in piazza per il clima: rispondendo all’appello dell’agguerrita Greta Thunberg, lo sciopero del Friday for future è stata l’espressione di una sensibilizzazione collettiva in merito di ecosostenibilità e inquinamento massivo, responsabile dei cambiamenti climatici che hanno provocato “l’incendio nella nostra casa”. Come ogni movimento collettivo, anche Friday for future necessitava di una colonna sonora, e tra i brani di riferimento emerge una riattualizzazione e trasfigurazione di un noto canto di libertà legato alla Resistenza partigiana, e che negli anni ’40 è divenuto un inno noto a livello internazionale contro il nazi-fascismo. Si tratta ovviamente di Bella ciao, brano che ha catalizzato nel corso dei decenni la cultura della sinistra divenendo la canzone più cantata nelle piazze durante gli anni Sessanta e Settanta.

Il destino di Bella ciao, le cover e le modalità di traslazione che ne hanno trasformato e ridefinito il senso nel corso della storia recente, possono dirci molto sulle dinamiche sociali che hanno definito l’immaginario “ribellistico”, fino a mettere in evidenza l’ingenuità delle masse che rischiano sempre di venire manipolate da una narrazione imposta dall’alto e funzionale al mantenimento dello status quo neoliberista, ammettendo però dialetticamente come spesso l’ingenuità sia il vettore rivoluzionario più efficace.

Bella ciao ha una storia appassionante: le sue origini sono state tema di dibattiti e ricerche complesse, perché la sua versione funzionalizzata come inno della Resistenza era già una trasfigurazione di un canto popolare antecedente. Per quanto sia ancora incerta la sua reale provenienza, Bella ciao è il risultato di una pluralità di canti e canzoni popolari del Nord Italia, che hanno sovrapposto parti musicali e parole. Una di queste provenienze folkloriche è indubbiamente Stamattina mi sono alzata, canto delle mondine padane, interpretata meravigliosamente da Milva a Canzonissima nel 1971.

I riferimenti non sono alla guerra partigiana, ma al lavoro schiavistico al quale le donne, piegate sui campi, erano costrette da secoli:

Ma verrà un giorno che tutte quante
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà.

Ora, il paradosso strutturale di Bella ciao sta nel fatto che nella sua versione originaria cantata da Milva il suo senso fosse persino più sovversivo che in quello della forma canonica tramandata negli ultimi decenni: il canto delle mondine già parla di rivoluzione e di libertà, il suo significato è ben più “comunista” rispetto a quello che sarebbe diventato poi. E’ un paradosso che negli anni Sessanta prima e Settanta poi la RAI concedesse l’esecuzione di Milva, quanto lo stesso Consiglio d’Amministrazione della RAI impedì a Gianni Morandi di cantare il brano in occasione del Festival di Sanremo del 2011: forse la concessione negli anni “caldi” era dovuta alla convinzione che, non essendo in realtà la “vera” Bella ciao, la sua portata rivoluzionaria fosse presumibilmente contenuta. Se il testo di Stamattina mi sono alzata è ben più ardente e rivoluzionario, è pur vero che il valore di Bella ciao è di ordine simbolico: non è un caso che da canto dei partigiani è stato adottato come la canzone della sinistra nelle tante fasi della storia del dopoguerra, interpretata da innumerevoli band e cantautori come Modena City Ramblers e Goran Bregović (fino ad arrivare all’interpretazione di Michele Santoro in diretta nel 2002 a Sciuscià, in opposizione all’editto bulgaro berlusconiano).

La canzone diventa ideologia: non conta se è un canto della Resistenza e non conta cosa venga cantato, non conta neanche più il suo valore storico effettivo. Ciò che conta è che rappresenti una determinata parte della cultura e della società: si tratta di una fruizione subliminale che connette l’ascolto a una determinata idea, quella della lotta contro i potenti.

In tempi recenti, il brano riemerge in forme diverse e in episodi diversi: nel 2017 la serie spagnola La casa de papel fa di Bella ciao uno dei brani della colonna sonora. Qui, Bella ciao mantiene il suo valore simbolico nella determinata trasfigurazione narrativa: l’ideale di un gruppo di ladri che occupano la zecca di stato come dei novelli Robin Hood. Ebbene, l’impatto simbolico viene trasfigurato nel linguaggio seriale e commerciale diventando elemento di seduzione: inequivocabile slittamento di senso nel circuito però del medesimo senso “rivoluzionario”.

Bella ciao si sente ancora nelle piazze, in occasione del primo maggio, ma anche in manifestazioni determinate e specifiche: è stato uno dei canti durante Occupy Wall Street e riemerge nel 2015 per Sing for the climate, iniziativa di sensibilizzazione civile nata in Belgio. I volti della clip che si impongono immediatamente alla visione sono quelli dei bambini: la canzone di guerra e libertà viene consegnata all’immaginario infantile e paternalistico.

Da qui il brano arriva a Friday for future: di Bella ciao resta l’arrangiamento, e se in questa occasione sembra recuperare la sua dimensione socio-critica, in realtà lo snaturamento e l’adattamento denunciano una traslazione persino più radicale rispetto alla sua adozione commerciale. Da canto popolare dedicato alle lavoratrici, a inno di libertà dagli invasori, oggi Bella ciao si declina in termini gioviali che ne ammansiscono il tono ribellistico, che d’altronde è proprio ciò di cui ci sarebbe bisogno dinanzi all’emergenza ecologica. Invece, che Bella ciao venga adeguata ai tempi, svanendo la portata violenta e ideologica del passato, significa addestrarla e farla diventare l’ombra di se stessa: l’abuso del canto di libertà consegnato a una causa non autenticamente popolare. La presunta spontaneità dello sciopero di venerdì non è sinonimo di lotta (cosa che invece la giovane Greta ha sostenuto con termini radicali ma che in pochi hanno realmente ascoltato): forse Bella ciao, in una delle sue versioni originali, potrebbe essere il canto di Greta, ma che ne sia stata scritta un’edizione specifica per questa battaglia sul clima potrebbe dimostrare come il rischio di diventare l’ “useful idiot” della globalizzazione neoliberista è sempre dietro l’angolo.

Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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