Una donna molto in gamba, con gli occhiali di Andrew ‘Dice’ Clay e i capelli della ragazzina di The Brave”: così si definisce Nadia, programmatrice di videogiochi ed eccentrica protagonista di “Russian Doll”, la serie tv targata Netflix, ideata dall’autrice (e protagonista) Natasha Lyonne insieme alle (geniali) Leslye Headland e Amy Poehler.

Nadia è la classica newyorkese che cammina per la sua strada con una sigaretta sempre accesa tra le labbra, l’aria di chi la sa lunga e una propensione per droghe ed eccessi. Durante la festa organizzata per lei dalla sua amica Maxine per il suo trentaseiesimo compleanno, Nadia rimorchia un noioso professore e, nel lasciare la festa con lui, muore investita da un’auto, risvegliandosi immediatamente nel punto dove tutto è iniziato: il bagno stilosissimo di Maxine. Si trova così catapultata in un loop temporale che le fa rivivere continuamente quella serata e, qualsiasi cosa faccia, trova sempre la morte dopo aver lasciato la festa, risvegliandosi davanti allo specchio del bagno di Maxine. Una sorta di Groundog Day al femminile.

Ma le morti assolutamente bizzarre di Nadia le fanno rivivere una giornata che, puntata dopo puntata, porta alla luce nuovi dettagli a cui la protagonista reagisce in maniera differente: infatti con il passare del tempo è evidente che la morte non riguarda più Nadia stessa ma i blocchi emozionali che lei si porta dietro da trentasei anni, i quali muoiono giorno dopo giorno a seguito della nascita di nuove consapevolezze che riesce a intravedere dentro di sè.

Il punto cruciale della serie infatti non si focalizza sulla morte, bensì sulla rinascita. Nonostante la paradossale situazione in cui si trovi, Nadia rinasce di volta in volta proprio da sé stessa, come una matrioska (appunto Russian doll), e ciò le permette di intraprendere un difficile ma necessario percorso di coscienza e ricerca di sé. Tra una caduta dalle scale e una morte per asfissìa, Nadia sviscera, in maniera assolutamente e totalmente rock, il rapporto con gli uomini e trova il coraggio di guardare in faccia per la prima volta il dolore che si porta dietro sin dall’infanzia, tristemente caratterizzata da una madre con problemi mentali.

Il suo fare duro e cinico, totalmente mascolino e assolutamente difforme dalle solite protagoniste femminili, dovrà poi fare i conti con le fragilità di Alan, un ragazzo sconvolto dal tradimento della fidanzata e anche lui incastrato in un loop interminabile di morti e risvegli, che, grazie all’aiuto di Nadia, riesce a maturare e a superare le manie compulsive che si è creato per dare un senso alla realtà. È interessante notare come la contrapposizione caratteriale tra Nadia e Alan riesca a rispecchiare perfettamente il rapporto tra i sessi, che ad oggi non viaggia più su percorsi diversi e opposti ma si avvia verso un genere non-binario: il personaggio di Alan infatti rappresenta perfettamente la crisi del maschio alpha, confuso e spaventato dai repentini mutamenti della società.

Russian Doll è dunque una sorta di lunga e bizzarra psicoterapia in cui, tra vicoli ciechi e incontri casuali, i protagonisti riescono a guardare la loro vita dall’esterno, cercando di eliminare il bug che li tiene incastrati nello stesso punto e che non permette loro di andare avanti, scoprendo che forse il modo migliore per sopravvivere a questo mondo infame è aprirsi ed aiutarsi a vicenda.