Non c’è due senza tre (speriamo). Dopo il successo di critica e il premio attribuito a Marcello Fonte come “miglior attore protagonista” al festival di Cannes, Dogman di Matteo Garrone è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar (categoria “miglior lungometraggio in lingua straniera”). Quali possono essere le carte da giocare per convincere l’Academy ad una nomination e riportare la statuetta nel Belpaese?

Dogman è un film sull’impossibilità di essere pienamente “umani”. Lo stesso titolo annuncia che assisteremo alla rappresentazione di un ibrido, ovvero ai diversi aspetti della trasformazione canina dei personaggi “umani”. Nell’opera del regista romano il fatto di cronaca nera del “Canaro della Magliana” diventa così occasione per mostrare la disumanità, tanto della bramosia sfrenata, tanto della fedeltà cieca. I due protagonisti del film, Marcello e Simone, sono ridotti a immagini di uomini-bestia, incarnanti passioni opposte e complementari, ma identiche nella loro assolutezza.

Una scenografia di confine

Il film si svolge in uno scenario che mostra la linea di divisione tra la periferia urbana e la natura selvatica. Possiamo immaginare una metropoli in cui, allontanandosi dal centro, architetture ultramoderne gradualmente lasciano il posto a palazzoni sempre più fatiscenti, sempre più abbandonati, sempre più prossimi al confine con qualcosa che non è più segnato dall’intervento umano. I personaggi di Dogman si muovono in bilico sull’ultima frontiera del civile, abitano dove l’asfalto scalcinato lascia infine spazio alla sabbia e alle sterpaglie. Il rapporto tra i due personaggi principali consisterà così proprio nell’attraversamento continuo, avanti e indietro, del confine tra l’umano e l’animale. Entrambi non dialogano, non trovano punti di incontro, ma cercano semplicemente di domarsi a vicenda.

Simone, l’immediatezza del bisogno

Simone è un ex-pugile cocainomane, il cui comportamento è ridotto al meccanismo bestiale del bisogno-soddisfacimento. Se la linea più breve per unire due punti è retta, Simone vive lungo questo tratto segnato dalla violenza e dall’intimidazione più incontrollate. Semplicemente prende quello che vuole. Simone è sordo al linguaggio e cieco alle conseguenze delle sue azioni: vive in un eterno ed indifferente presente in cui ciò che conta è soltanto l’esigenza del momento. Coinvolge Marcello nei suoi affari vincendolo con la semplice imposizione della sua corporeità. Lo prende letteralmente con sé. Corpo, presenza e movimento: Simone rappresenta una vitalità incontrollata, priva di ogni riflessione e progettualità.

Marcello, la cecità della fedeltà

Marcello gestisce un’attività di tolettatura per cani e spaccia cocaina. È evidente come egli affronti la prepotenza di Simone esattamente come se fosse la rabbia del grosso molosso bianco con cui si apre il film: basta sostituire i biscottini con la cocaina e si avranno due relazioni del tutto simmetriche.  Marcello cerca di domare amorevolmente Simone come se condividesse la stessa innocenza naturale degli altri cani. Ciò che lo contraddistingue lungo tutto il film è il volere che tutti, Simone incluso, gli vogliano bene.

Da qui si intravede l’animalità che governa Marcello: la fedeltà più cieca. Come Simone non conosce riflessione, così anche Marcello non conosce un giudizio che sia del tutto autonomo ed indipendente. Non sa essere un individuo. L’apparente bontà e la capacità di sopportare qualsiasi sopruso derivano dal coraggio stupido della fedeltà assoluta; un coraggio che non traccia distinzioni e non conosce differenze tra “mio” e “tuo”. Si tratta dell’attaccamento canino al branco. Anche nel momento in cui si rivolta contro Simone, Marcello è mosso da una seconda fedeltà provata verso gli altri compagni del quartiere: solo rispetto ad un nuovo oggetto per la stessa passione l’omicidio può assumere un senso liberatorio. Marcello non reagisce per farsi giustizia, ma per farsi volere bene.

Tra l’egoismo delle passioni più viscerali e la lealtà più cieca e dimentica di sé, Dogman racconta così l’umano come un paesaggio spaccato, apparentemente privo di ogni speranza di conciliazione.

Credit photo: trailer del film Dogman

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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