Il 28 settembre 2018 l'Italia è entrata per prima in una nuova era della storia. Altro che i soliti record negativi sulla disoccupazione, sulla crescita economica e sullo spread: noi italiani "ABBIAMO ELIMINATO LA POVERTÀ". Tutte le lotte e le utopie, tutte le soluzioni che l'uomo ha tentato o immaginato lungo i secoli per combattere la miseria culminano "qui ed ora". La svolta epocale viene annunciata tramite Facebook, alle ore 09.29. Ma dato che indubbiamente non accade tutti i giorni di introdurre una cesura nello scorrere dei secoli, come si struttura un messaggio tanto importante? Cosa significa "fare" la storia?

Il giornale, il balcone, il post Facebook

C'è un aspetto che balza subito agli occhi: "la storia è una cosa vecchia e seria". Tutto nel post parla di vecchiaia. Una pagina di quotidiano non soltanto è l'immagine di un media antico, ma rimanda anche a quell'insieme di sensazioni (tattili, visive, olfattive) tipiche dei ricordi scolastici.  La storia è una cosa passata, un affare libresco (si fa pagina dopo pagina) e per questo venerabile.  Non è un caso se "storia" e il testo sfocato dell'articolo siano scritte con un font simile a quello in stile "macchina da scrivere" usato per rendere vintage le proprie Instagram Stories. L'annuncio da una parte indica l'antichità della storia e la sua temporalità narrativa-processuale , dall'altra sottolinea la serietà e l'importanza che le derivano dalla sua stessa vecchiaia.

L'altro simbolo immediatamente evidente è quello dell'"esultanza dal balcone". Al di là dei parallelismi storici che sono già stati ampiamente snocciolati, occupare il balcone è sinonimo di autorità e potere, nella misura in cui è ampiamente radicata la metafora spaziale "l'alto è il forte, il basso è il debole". Esultare dal balcone significa così che se "la storia è un fatto di potere", la storia è stata conquistata. Solo così del resto era possibile cambiarla.

Tutti questi aspetti metaforici, "la storia è la posizione dominante come quella di chi è in una posizione elevata", "la storia è vecchia e venerabile come un giornale" sono dunque fatti propri tramite la rimediazione nel post Facebook. Tutti vengono inquadrati nell'immagine condivisa sui social, che così dice "questa storia è nostra, noi la facciamo". Il MoVimento del web ingloba nella sua forma mediale d'elezione i vecchi simboli della storia. Fin qui tutto sarebbe chiaro, se non apparisse una clamorosa contraddizione. Mentre il post dice

"L'Italia finalmente torna a meritarsi una prima pagina nella storia [...] Ed ora continuiamo a scrivere insieme altre pagine importanti"

l'immagine non mostra né una prima pagina né una pagina centrale, ma l' ultima pagina del giornale-storia (si apre verso destra). Forse oltre a "cambiare la storia", abolendo la povertà, si sta proprio "abolendo la storia", o almeno la vecchia storia paragonabile ad un giornale o a un balcone. La fine della povertà è anche la fine della storia così come è stata pensata finora?

L'autopoiesi e la parola che "fa" la storia

A lungo si è pensata la politica ed il suo rapporto con la storia secondo la metafora del Demiurgo platonico. Nonostante tutta l'imperfezione della materia-storia, lo sforzo del politico-demiurgo è teso a darle una forma, un ordine ed una direzione "ideale", Il mondo degli uomini è una massa contraddittoria di passioni, interessi e conflitti, ma nondimeno può essere governata. Il politico non è onnipotente e la storia resiste ai suoi sforzi, tanto che il risultato della sua azione è sempre lento, graduale e faticoso. Si procede con difficoltà, pagina dopo pagina.

Nella Terza Repubblica la metafora dominante diventa quella del Dio creatore cristiano. Dio disse "Sia la luce" e la luce fu. Di Maio dice "La povertà è abolita" e la povertà non c'è più. Salvini dice "Chiudiamo i porti" e le migrazioni sono finite. La parola del politico è diventata creatrice, assoluta, in grado di fare autonomamente la storia. Però l'imperfezione continua ostinatamente ad esistere: come si risolverà il problema, ora politico, della teodicea? Come si supererà la differenza tra la "parola che fa la storia" (non a caso nel post Facebook la storia è un giornale, ovvero il racconto della storia) e la "storia"? Ma soprattutto, ha ancora senso questa differenza?

Credit photo: pagina Facebook "Luigi di Maio"

 

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul Senso Comune nel pensiero di G. B. Vico. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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