Alphabet, la holding che controlla il motore di ricerca, ha presentato il 23 luglio i risultati del secondo trimestre 2018. I ricavi si sono mostrati in crescita, più delle previsioni. Tiene la pubblicità e aumentano i ricavi da servizi (anche qui la sfida per il cloud è essenziale). Fin qui, tutto nella norma della logica numerica economico-borsistica. C’è però un di più, un particolare tra le righe del bilancio pubblicato da Alphabet che merita di essere approfondito: le multe Ue.
Multe
Sia lo scorso anno sia questo la Commissione europea ha multato Google per posizione dominante. Lo scorso anno, poco meno di 3 miliardi di euro, l’infrazione era conseguenza di un libero accesso alla funzione shopping. Quest’anno, circa 5 miliardi di euro, l’accusa questa volta era riferita al sistema operativo per smartphone Android. Google ritiene le multe ingiuste, la Commissione europea continua la sua guerra ai monopoli, sullo sfondo le tensione commerciali con gli Stati Uniti di Donald Trump.
Riga
L’elemento più interessante della questione è la sprezzante rivendicazione di Alphabet che, tra le righe del bilancio, aggiunge una voce: European Commission fines. Le multa diventa un incidente necessario, un elemento che fa parte di un orizzonte di rischio. Indipendentemente che sia giusta o no, che si faccia ricorso o meno, che si paghi o si annulli, la società di Mountain View comunica un sottotesto chiaro: il nostro business è questo, non lo faremo altrimenti. E le multe, anno dopo anno, diventano un costo normativo da aggiungere, pesante certo, non però un ostacolo che cambia la natura del cambiamento.
Legge
Si intravede qui la dialettica tra norma e fatto. La velocità del digitale sta modificando nel profondo gli stessi elementi costitutivi dell’essere umano. Le norme che regolano le comunità, nazionali e internazionali, sono il risultato di un equilibrio di un mondo precedente. La forzatura dell’esistente è l’anima stessa di ogni cambiamento. Le multe sono forme di resistenza fine a se stesse. Apparentemente virtuose, se lette con un approccio legalistico. Chiaramente anacronistiche, se osservate in prospettiva. Le norme necessitano di un’accelerazione di modernità, i criteri delle vecchie posizioni dominanti mal si adattano alla pervasività facilitante degli apparati digitali.
C’è forte il problema di permettere un utilizzo condiviso e molteplice dei dati creati dalle grandi piattaforme digitali. Le multe, in sé, non sembrano essere ancora la risposta adeguata. Basta infatti aggiungere una riga nel bilancio, creare un nuovo costo e il business continua a procedere intatto, generando percentuali di utile netto tra il 20 e il 30% del fatturato.

Salvatore Patriarca Giornalista, filosofo, imprenditore. Il suo ultimo libro è Il digitale quotidiano (Castelvecchi).

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