Discorso dell’intellettuale oltranzista iperconservatore: No, non posso festeggiare Halloween e cadere nel ridicolo con una maschera da vampiro perché faccio capire che anche io sono succube del capitalismo americano. Discorso dell’intellettuale progressista e snob, quello che vuole fare l’intellettuale tra gli intellettuali: Sì, posso permettermi di festeggiare Halloween perché, anche se so bene che tutto questo è uno scimmiottamento degli americani – che poi la festa non è nemmeno loro, a dirla tutta –, mi voglio concedere un’apertura verso l’infanzia, un regresso ben consapevole e maturato.

Postilla: ci sarebbe da dire al primo intellettuale, quello vecchio modello, che il vestito da fantasma è più old style di quello di E.T. e che quest’anno Urban Outfitters propone quello da influencer: 59 $ (scontati 24) top e leggins.

Le origini
È stato l’antropologo scozzese James Frazer a ricostruire la vicenda. Alla base della celebrazione c’era una questione di passaggio, dalla fine di ottobre all’inizio di novembre. Che detta così può sembrare banale, ma non lo era per niente. O meglio non per quella gente lì, che ci credeva. Per una ragione di calendari – era una mera questione di “schede”, sia chiaro –, nella cultura irlandese e inglese la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre rappresentava il passaggio dal vecchio al nuovo anno. Ci si congedava dalla fase del raccolto e ci si preparava ai pericoli dell’inverno.

Ecco allora il punto, la veglia del Samhain ha da subito a che fare con una ferità nella ciclicità del tempo. Durante quella notte, solo per quella notte, era come restare all’interno di un gigantesco aeroporto: non più nella terra da dove si parte, non ancora nella terra dove si va. Inutile sottolineare quanto sia immediata la sovrapposizione, su base analogica, tra presente – passato prossimo (mondo dei vivi) e futuro (mondo dei morti).

La questione del nome
Halloween, cioè All Hallows’ Eve ovvero “notte di tutti gli spiriti sacri”. Stando alle ricostruzioni storiche, l’espressione si riallaccerebbe ad una appropriazione cristiana della festività attuata tramite l’istituzione da parte della Chiesa cattolica, con Papa Gregorio IV nel 840, della festa di Ognissanti nel primo giorno di novembre. Nella vulgata, tuttavia, Halloween è considerato come, in certa misura, una festività demoniaca. Questo ha che fare con molti fattori. Uno su tutti, il tradimento concettuale del pilastro della cristianità: la linearità temporale (eccezion fatta per Cristo). Mentre ogni buon cristiano vive il proprio tempo con una certa vettorialità, una spinta verticale, la festività celtica installa un tempo ricurvo, una temporalità che si ripiega su se stessa. Questione di tempi.

A Weird Party: la forza della narrazione
Senza dubbio Halloween si avvicina pericolosamente al confine (il futuro = morte), rendendo possibile una esperienza della morte come limite che tuttavia apre ad un orizzonte di possibilità (ogni cosa è permessa, in quella notte). Da Heidegger a Deleuze, da Nietzsche a Derrida, molti filosofi hanno ragionato sul limite e sul bordo come una specie di arma segreta dell’essere umano. Ma non è tanto questo. Il fatto è un altro. In una formula: Halloween è narrazione pura.

In un recente libro pubblicato in Italia da minimum fax, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, Mark Fisher analizza un racconto di H.G. Welles. Per farla breve, un amico racconta ad un altro amico di aver visto, da ragazzino, una porta verde lungo il muro di West Kensington a Londra. Non resiste ed entra. Dall’altra parte incontra un giardino pazzesco con una coppia di pantere e un libro con, al posto di figure, la realtà stessa – una roba che altro che Harry Potter. Per svariate ragioni – una volta è impegnato in una questione politica; un’altra è diretto a casa del padre morente;  un’altra ancora ha la sua carriera in bilico e non gli sembra il caso di attraversare porte e giardini – nel corso di tutta la sua vita passa davanti a quella porta ma non la apre più. Quando l’amico racconta la vicenda all’altro, è consumato dal rimorso. Muore, e lui quella porta non l’avrà più aperta. Il racconto si chiama La porta nel muro.

Ecco, Halloween. Esattamente la stessa storia. Arriva il 31 e – clac – giardino con pantere. Precipitiamo in quello che è a tutti gli effetti un weird party. Si potrebbe tranquillamente chiamare, riattualizzando un po’,  “meccanismo Dottor Strange” o “meccanismo Stranger Things”. Uguale uguale.

 

C’è la realtà A
poi c’è un interruttore
poi c’è un’altra realtà Z

 

Quello che è cruciale è l’idea di un in mezzo che metta in comunicazione i due mondi, mantenendo accesi entrambi.
364 giorni l’anno questo interruttore si chiama letteratura.
L’altro, si chiama Halloween.


Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come Editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.
È fondatore di Globusmag.it

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