Testuggini digitali

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Testuggini digitali

“Come avete visto in questi giorni siamo sotto attacco totale. Da parte di tutti gli avversari esterni. Media, partiti, tecnocrati”. È l’incipit di un lungo post datato 29 ottobre e pubblicato sui suoi canali social dal vicepremier e ministro di lavoro e sviluppo economico Luigi Di Maio. Ma non è delle paranoie e delle manie di persecuzione di Di Maio di cui qui si vuol parlare. C’è un aspetto nel post ben più interessante e degno d’esser analizzato: la testuggine romana, “una formazione di fanteria dell’esercito romano che era di grande complessità perché richiedeva un importante coordinamento collettivo. Dava come risultato una massa compatta e protetta in modo impenetrabile e veniva usata in particolare durante gli assedi”. (Sembra di leggere Wikipedia? È Wikipedia!).

L’intento di Di Maio è quello di chiamare al raccoglimento, all’unità d’intenti, alla coesione tutti coloro che, all’interno del M5S, esprimevano dubbi legittimi su alcune politiche del governo detto “del Cambiamento”. Infatti, malgrado nell’incipit l’attenzione fosse posta sul nemico esterno e le sue offensive, il problema vero sembra essere tutto interno al movimento fondato da Grillo e Casaleggio. Si badi, politicamente l’espressione di un dissenso interno è contemplata tra i diritti più ovvi di un regime democratico. Ma nel M5S fa problema. Ad accorgersene è stato il direttore de L’Espresso, Marco Damilano, che la stessa sera, ad Ottoemezzo, programma condotto da Lilli Gruber su La7, sottolinea la problematicità inscritta nel post del vicepremier, fresco di giornata.

“Mi colpisce quest’immagine della testuggine perché è esattamente l’opposto della rete: la testuggine è la blindatura; la rete è l’apertura, il movimento, le opinioni che si confrontano. […] pensiamo a quanto è lontana l’immagine della testuggine dall’immagine del movimento”. Sono queste le parole attraverso cui Damilano scova nella metafora la contraddizione. E ha ragione, ma solo in parte. Lo statuto ontologico e mediologico della rete ha, di base, le caratteristiche associategli dal giornalista romano. Ma nella rete è contemplata (e forse favorita) anche la formazione a testuggine. Ed è questo, probabilmente, il paradosso fronteggiato, accettato e subito nascosto dal Movimento 5 Stelle fin dalle sue origini.

Le caratteristiche assegnate non casualmente da Damilano ad Internet sono quelle caratteristiche che hanno fatto sì che il web fosse una fucina di movimenti politici popolari e, prima ancora, un acceleratore di processi democratici partecipativi e deliberativi. La rivoluzione digitale si fonda proprio sull’abbattimento di ogni tipo di barriera, da quelle spazio-temporali, a quelle comunicative e informative, e così via. I cosidetti cyber-ottimisti hanno prodotto una vastissima letteratura in merito ai benefici offerti in senso sociologico e politologico alla vita democratica. La storia del deliberativismo, per esempio, è legata al nome di Jurgen Habermas e all’esigenza di trovare un “tavolo” per il confronto delle opinioni e una “più” democratica determinazione della sfera pubblica e delle decisioni politiche. Internet ha offerto la possibilità di fuggire il trinceramento ideologico stagnante e la guerra statica di posizione, ha favorito cioè il movimento come incontro e assorbimento di istanze, tematiche, rivendicazioni, idee.

L’idealità originaria, comunque mai rinnegata, del M5S ha dovuto fare i conti con una realtà diversa da quella ottimisticamente ed entusiasticamente celebrata all’alba dell’era informatica. Damilano ha quindi ragione nella definizione che fornisce di rete, ma sa perfettamente di escludere dai processi virtuali, a tutto vantaggio della provocazione, il fattore “testuggine”. Non ci volle molto per osservare come il superamento di ogni tipo di barriera facilitasse anche una nuova riformulazione ideologica, una radicalizzazione all’interno di echo chambers in cui entra solo chi la pensa come me. Internet, lo spazio aperto per antonomasia, è quello dove sussistono più camere chiuse a chiave, più porte blindate, più testuggini romane (si pensi allo shitstorming o alle cyber-cascate di fake news).

Di Maio non tradisce completamente l’anima digitale del Movimento utilizzando questa metafora. Ne svela solo l’intima contraddizione, la quale è allo stesso tempo il punto di forza dei pentastellati. In questo modo, essi possono restare sulla soglia impalpabile del paradosso tenendo insieme l’universalità della rete e la particolarità della testuggine. Da un lato, la totalità dei cittadini “in movimento” e delle loro istanze che si pretende di rappresentare contro un nemico esterno che, di fatto, non esiste (da cui le paranoie dell’incipit del post di Di Maio). Dall’altro, l’impermeabilità e l’impenetrabilità ideologica di quello che è a tutti gli effetti un Partito, costretto a fare i conti con un dissenso interno che assume, a sua volta, immediatamente e necessariamente i contorni del nemico.


 

Lorenzo Di Maria è laureato in Filosofia con una tesi sulla fine della storia e del politico in Alexandre Kojève. Ha pubblicato articoli per Globus, Players e Lo Sguardo.

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