Nel loro peregrinare tra i generi cinematografici i fratelli Coen si erano già misurati con il western in due film della loro recente filmografia. Il genere era stato declinato in due versioni diverse: classicheggiante, con il remake del Grinta con John Wayne, e moderno, con il western contemporaneo di Non è un paese per vecchi. L’ideale trilogia si chiude con un film a episodi, La ballata di Buster Scruggs (e altri racconti della frontiera americana), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, prodotto, distribuito e trasmesso da Netflix. La struttura in capitoli – sei, di diversa lunghezza – ha permesso alla coppia di registi di ri-visitare il western con piena libertà creativa. Il film è un’antologia della ricca iconografia del selvaggio West, quella che ha alimentato l’immaginario collettivo americano a partire dal diciannovesimo secolo, da prima della nascita del cinema. Le illustrazioni di Frederic Remington, con indiani e cowboy a cavallo, scene di battaglia e paesaggi del West, ne sono un esempio. Anche in Buster Scruggs ritroviamo quelle figure e quei colori sulle pagine di un grosso libro prima di ogni capitolo. Il libro, con il voltare delle sue pagine, scandisce il racconto del film ed è il simulacro di un narratore onnisciente con cui spesso il cinema dei Coen ha giocato.

La carrellata di personaggi è impressionante, ci sono tutti i caratteri ricorrenti del genere: rapinatori di banche, cacciatori di taglie, carovane di coloni, fuorilegge, cercatori d’oro, fanciulle del West, singing cowboy. Al netto di una fugace comparsata, manca la figura dello sceriffo, di qualcuno che incarni la legge, che mantenga l’ordine e che garantisca il regolare svolgimento dei rapporti di convivenza all’interno della comunità. Una differenza ad esempio con Non è un paese per vecchi, con lo sceriffo alle soglie della pensione interpretato da Tommy Lee Jones.

Il West della Ballata di Buster Scruggs è pura brutalità, violenza e caos, filtrati però dallo sguardo ora amaro, ora ironico, ora poetico dei due autori. Per definire il senso del film è necessario guardare a elementi narrativi specifici; pertanto, chi non l’ha ancora visto può interrompere qui la lettura.

Wanted: vivi o morti

Il tema ricorrente del film è la morte, una sorte che tocca a quasi tutti i personaggi della pellicola: solo in un paio di casi è esibita, mentre più spesso è messa fuori campo, lasciata all’intuizione dello spettatore. La morte è sempre lì, in agguato, ed è un rischio che corrono tutti, non solo i fuorilegge. Laddove irrompe il conflitto arriva infine la morte, come suggerisce il terzo episodio con Tom Waits: l’arrivo dell’uomo sconvolge la natura e lo scontro fra il cercatore d’oro e il suo aguzzino termina in uno spargimento di sangue.

L’ultimo episodio (The mortal remains) è rivelatore di senso dell’intero film. In una carrozza tre viaggiatori si confrontano ciascuno con la propria visione dell’umanità: l’uomo è come un furetto, dice un cacciatore di pellicce; gli uomini si dividono in due categorie: i giusti e i peccatori, dice una donna bigotta; l’uomo è un mistero, controbatte un giocatore di poker. Di fronte a loro siedono due cacciatori di taglie, sempre diretti allo stesso motel, con un cadavere al seguito. Per loro esistono solo due tipi di persone: i vivi e i morti ma con una ricompensa che pende sulla loro testa questa distinzione si assottiglia. I due sodali preferiscono chiamarsi “mietitori”, “raccoglitori di anime”, pronti a colpire mortalmente i ricercati per incassare la taglia. Dei due uno distrae la vittima, l’altro colpisce infallibile. Il primo “mietitore” ammette di essere affascinato da come, in punto di morte, i ricercati “cercano di capire, di trovare il senso di tutto”.

Il loro racconto suggestiona e intimorisce gli altri tre viaggiatori e concretizza un’idea di morte che ha pervaso la Ballata di Buster Scruggs sin dall’inizio. Nel primo episodio il cowboy canterino, spaccone, rapidissimo con la pistola, muore a duello colto di sorpresa. Si credeva quasi immortale e invece il destino l’ha messo di fronte a un cowboy con l’armonica, altrettanto abile con le armi e nella musica. Un peccato d’ingenuità e un impeto di paura condannano invece Alice, la protagonista del quinto episodio, a un destino di morte sulla strada per la felicità.

Le reazioni di fronte a una morte imminente – quasi quel “negoziare il passaggio”, quella ricerca di senso di cui parlano i cacciatori di taglie nella carrozza – sono ben rappresentate nel secondo e nel terzo episodio. Con il cappio alla gola, il rapinatore interpretato da James Franco prova a esorcizzare la morte cercando gli occhi di una bella ragazza tra gli spettatori dell’esecuzione pubblica e liquidando con una battuta il pianto disperato di un uomo che sta per essere impiccato. Il cambio di tono è netto nell’episodio successivo, quello del “tordo senza ali”, il ragazzo mutilato di braccia e gambe protagonista di uno spettacolo itinerante al seguito di un impresario senza scrupoli. Il suo sguardo urla una muta disperazione quando capisce che sta per morire e che la sua vita è valsa meno di quella di un pollo.

Credit foto: Pixabay

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