In occasione della Festa dell’Indipendenza, il prossimo 4 luglio, uscirà nelle sale americane il nuovo atteso episodio del ciclo della Notte del giudizio, iniziata nel 2013. La prima notte del giudizio racconta le origini dell’esperimento sociale che, in un’America distopica governata dai Nuovi Padri Fondatori, ha trovato una soluzione per ridurre il numero di crimini (arrivato a livelli incontrollabili) sotto l’1%: concedere a tutti i cittadini 12 ore di “sfogo” (purge) nel corso delle quali tutto diventa legale, persino l’omicidio, con la sospensione degli interventi di polizia e soccorso. Molte le ingenuità che caratterizzano le sceneggiature degli episodi precedenti, che tendono all’immaginario horror-distopico, tuttavia lo spunto narrativo di partenza trova interessanti corrispondenze con le riflessioni che a metà del XX secolo ha sviluppato l’antropologo italiano Ernesto De Martino.

Secondo De Martino il “furore” caratterizzava tanto le festività e le ritualità pagane, quanto quelle in epoca cristiana. Nel Sud Italia infatti, le feste legate al culto dei santi spesso diventano surrogati, traduzioni, riproposizioni delle antiche pratiche magiche; sono tutte modalità di contenere il furor, di gestirlo, di neutralizzarlo, come infatti è accaduto con diverse caratteristiche danze regionali che mimano lo stato di possessione e l’invasamento orgiastico. Dopo essersi occupato delle ritualità delle zone indigenti del proprio paese, De Martino rivolge la sua attenzione all’evolutissima e borghese Stoccolma, che in occasione del Capodanno del 1956 era diventato il palcoscenico di una incredibile furia distruttiva da parte di un migliaio di giovani. Senza organizzarsi o pianificare niente, i giovani hanno messo a ferro e fuoco la città, e la polizia ha impiegato tre ore per far tornare la quiete; dal giorno dopo, come era stato per il giorno prima, la vita di Stoccolma è tornata pressoché identica. Questo evento affascinò l’antropologo italiano: come è stato possibile questo scoppio di furore nel cuore della civilissima Svezia?

Il furore distruttivo, non a caso accoppiato e gemellato con la ricorrenza di una delle feste antropologicamente più antica e simbolica, ovvero quella della fine dell’anno e l’inizio del nuovo, non può venire spiegato da banali motivazioni di ordine economico o sociale. Più appropriato rivolgersi all’idea, sostiene De Martino, dell’istinto di morte collettivo: “Una nostalgia del non-umano, l’impulso a lasciar spegnere il lume della coscienza vigilante e ad annientare quanto, nell’uomo e intorno all’uomo, testimonia a favore della umanità e della storia”.

Lo sfogo perciò come occasione di spingersi oltre, o di spingersi indietro potremmo sostenere, nella dimensione del non-essere originario, o del non-essere finale: distruggere per arrivare o per tornare al niente. Per queste ragioni De Martino mette a paragone il Capodanno di Stoccolma al Capodanno babilonese: in quest’ultimo, la festa rappresentava un regresso all’epoca mitica delle origini, ovvero al caos primigenio, e il rito disfaceva l’ordine costituito invertendo e confondendo i ruoli sociali. L’annientamento dell’ordine sociale è questo caos al quale la festa ambisce, e sarà così per i saturnali romani quanto per il carnevale; ma mentre queste ultime sono modalità di espressione del furore già mitigate, controllate dall’alto, concesse dalle autorità e che impediscono l’autentica distruzione (risoluzione culturale del furore e della violenza dice De Martino, tipica anche del ciclo di film della Notte del giudizio), l’evento di Stoccolma lasciò impreparate le istituzioni, perché fu un movimento distruttivo spontaneo.

De Martino evidenzia come una società e una comunità necessitino “della partecipazione a un determinato ordine di valori morali, un piano di controllo e di risoluzione culturale della vita istintiva”, anche per poter solo sopravvivere; la festa per esempio è questo piano, ma nella società opulenta del benessere, dove l’unico valore è quello del guadagno e sono svanite le direttive culturali e spirituali, allora la festa degenera nella distruzione, nel caos, perdendo la sua caratterizzazione di festa capace di esprimere tanto il furor quanto il logos. Se il furore viene lasciato a se stesso, senza forme di controllo culturali, è sempre presente il rischio di nuovi capodanni di Stoccolma, e questo è ciò che i Nuovi Padri Fondatori hanno compreso nel loro assurdo e paradossale progetto.


 

Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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