Le telecamere come ultimo baluardo di sicurezza. È di oggi la notizia che la regione Lombardia ha autorizzato l’installazione di tali dispositivi negli asili nido. E di casi come questo ce ne sono ogni giorno. Strumenti per riprendere in metro, per strada, nelle stazioni, negli aeroporti, nei condomini. In casa come allarme. È in atto una dinamica inflativa dell’immagine, soprattutto in relazione a una presunta istanza securitaria.

Qual è il presupposto che si trova alla base di questo fenomeno? L’assunto per il quale l’immagine garantisce l’univocazione del fatto. Avere le riprese di una situazione, di un evento permette di definire le colpe, di comprendere le dinamiche evolutive e di garantisce una certezza di ricostruzione dei fatti.

Oggettività del vedere – Questa dinamica si nutre di un presupposto difficilmente contestabile ed è quello alla base del nesso tra il vedere e il sapere: ciò che si vede si sa. Dal momento che, per limitazioni naturali, fisiche, non si può vedere tutto istantaneamente, si cerca allora di costruire una serie di dispositivi che vedono al posto dell’occhio. Si crea così un serbatoio visivo di conoscenza che permette al fatto di esistenza nella sua certezza di verità. Ciò che accade in maniera contingente e potrebbe fluire vive senza essere ricostruito correttamente viene fissato, fermato, garantito. Il meccanismo di conoscenza diffusa ha un riflesso chiaro rispetto alle paure crescenti nelle società complesse. Attiva un principio di sicurezza che, nella completa visione del vivere, riduce la possibilità dell’evento imprevisto. E, anche quando esso accade, è in grado di riportarlo all’interno di una dinamica sociale di retribuzione della colpa o del merito. Vedere come sapere diventa, come chiaramente aveva compreso Michel Foucault, sorvegliare come punire (nell’eventualità della trasgressione).

Ambiguità del vedere – Tale costruzione socio-epistemica, capace cioè di incrociare esigenze sociali e presupposti di verità, si scontra con un elemento di stranezza incontestabile, soprattutto nella contemporaneità. La vista infatti è fondamento di validazione del fatto. Essa è altrettanto presupposto di inganno rispetto al fatto. A prescindere dalla lunga tradizione storica che diffida dalla certezza dei sensi (inclusa una diffidenza rispetto alle immagini dipinte), il tema si pone in maniera esplosiva dall’invenzione della fotografia, e poi del cinema, e poi della televisione. Le immagini si creano. Le storia si manipolano. La certezza visiva diventa il regno della costruzione finzionale. Tutto ciò pone seri interrogativi sulla reale efficacia univocante delle immagini girate.

Negli ultimi anni poi, con l’avvento del digitale, l’alterazione di ciò che è visto, la creazione dell’immagine è diventata un’attività alla portata di tutti. Le possibilità dell’esistere si sono artificiosamente ampliate, perché si è estesa la possibilità di creazione del vissuto,percepito, veduto. Basti pensare ai programmi di elaborazioni delle foto, ai filtri. L’immagine ha smetto di corrispondere al fatto. Prescinde dalla sua esistenze. Vive una dimensione significativa propria.

Di questa profonda dicotomia, immagine come garanzia del fatto/immagine come creazione del fatto, è necessario essere profondamente consapevoli, soprattutto quando si ritiene di potere garantire la sicurezza delle persone (adulti o bambini che siano) attraverso l’installazione di strumenti di ripresa.

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