Dopo tre anni di silenzio, Marco Mengoni torna sulle scene con un nuovo album dal titolo Atlantico, annunciato da una coppia di singoli in circolazione da ottobre, Voglio e Buona vita. Questo binomio è illuminante per comprendere quale potrebbe essere il destino dell’artista nel prossimo futuro, un destino che Mengoni dovrà dimostrare di sapere affrontare in seno alle dinamiche tipiche dell’industria discografica italiana ma non solo; in gioco c’è, ancora una volta, la sorte del pop italiano incastrato fra l’anelito al modello statunitense e le pastoie della sensibilità tipicamente italiota (ma in questo profondamente europea) in materia di cultura di massa e pop music.

Marco Mengoni appartiene a quella folta categoria di artisti che hanno dimostrato il loro innegabile talento attraverso X Factor: le doti vocali e tecniche di Mengoni sono però un unicum, un patrimonio che solo una personalità forte può essere in grado di gestire al meglio. Ma la derivazione dal talent televisivo, e il passaggio alla kermesse sanremese (ormai quasi “consecutiva” alla prima), ha determinato in una manciata di anni il rischio di esaurire e vaporizzare l’opportunità di ritagliarsi uno specifico spazio nella produzione musicale italiana; salutato da alcuni critici come il “nuovo Prince” italiano, il “prodotto Mengoni” esprime al meglio i limiti al quale un artista può condannarsi a causa del suo successo massmediale conseguito nel talent: una carriera che fin dagli esordi si consegna a una sorta di omologazione basata su regole e convenzioni che – attenzione – presuppongono il paradosso idiosincratico strutturale alla concezione “crociana” della nobiltà dello spirito artistico-umanista. Tradotto in parole semplici, il talentuoso artista emergente dal programma TV ha dinanzi a sé un bivio: allinearsi alle esigenze dell’industria a suon di tormentoni e ballate (Giusy Ferreri), oppure diventare un’icona pop in direzione della celebrata tradizione della cosiddetta “musica leggera” italiana (Noemi).

Questa seconda strada sottende la convinzione per cui “avvicinarsi” all’eleganza del cantautorato distaccandosi dall’immaginario pop di derivazione americana è l’unica formula adeguata sia per l’internalizzazione, sia per rivendicare un profilo autorevole in senso creativo e artistico. A questo destino si è consegnato l’altro talento straordinario della scena musicale italiana degli ultimi decenni, ovvero Tiziano Ferro, che nel giro di pochi mesi abbandonò la dimensione “black” o r’n’b degli esordi per l’approdo al “bel canto”.

Mengoni corre a tutti gli effetti il medesimo rischio: con le doti vocali di Prince ma senza il carisma di Prince, col gusto scenico di Bowie ma senza il bagaglio culturale e intellettuale di Bowie, col fascino magnetico ed elettrizzante di Justin Timberlake ma senza la capacità di scrittura di Justin Timberlake, con una dimensione scenografico-performativa appena accennata rispetto al vulcano di Michael Jackson…tutti questi giganti, nel rock quanto nel pop, sono innanzitutto autori, brillanti musicisti, controllori del proprio personaggio, fautori dell’immaginario: tutti elementi necessari per lasciare un segno.

Ora, i due singoli che annunciano Atlantico vogliono porsi come la dimostrazione della poliedricità di un artista divenuto adulto, maturo, capace al di là del compitino imposto dall’etichetta e con le eccellenti doti canore di diventare anche una personalità forte, autoriale, in qualche misura persino indipendente; come era già accaduto a Jovanotti, per esprimere questa dimensione di crescita è Cuba e perciò la tradizione etnomusicale caraibica a diventarne il volano. Ma Jovanotti non veniva dal talent, ma dal rap, passò per Cuba per imprimere al suo percorso una maturazione autoriale, per poi mettersi in connessione con la romanticheria tipica della “musica leggera” in maniera propria, e alla fine approdare alla disco e ai sintetizzatori in piena età adulta. Percorso complesso e arzigogolato fatto con profondo controllo, necessario quando la dote naturale della voce è appena compensata dalla tecnica acquisita col tempo, ma comunque lontana anni luce dai livelli di Mengoni.

La posizione di Mengoni è invece ancora confusa, qui il piano dialettico: da un lato Voglio, brano scritto assieme a Andrea Bonomo e Gianluigi Fazio, già autori per Nek, Ramazzotti, Pausini, sempre in vena pop con accenni rock, che qui invece si prestano all’elettropop sofisticato che non avrebbe niente da invidiare ad alcune produzioni d’oltreoceano. Il testo è ben calibrato, la melodia perfetta così come l’impatto del video, e tuttavia in quest’ultimo Mengoni ancora non riesce a dimostrarsi realmente padrone del suo personaggio.

E’ come se Mengoni, in questo brano, che sarebbe dovuto essere il suo reale “terreno di gioco”, perfetto nella proposta seduttiva che avrebbe potuto rilanciare l’immaginario della pop music italiana, stesse pensando contemporaneamente all’altro singolo, quello che è convinto (date le venature fusion sudamericane) potrebbe garantirgli il suo profilo autoriale. Ed invece è propria quella che appare la strada più raffinata ad essere la direzione sbagliata, perché snatura la proposta specifica che solo Mengoni potrebbe incarnare. In altri termini, la maturazione non deve essere di “genere musicale”, anzi è proprio così che si cede al provincialismo; la maturazione deve avvenire nell’orizzonte che ti rappresenta meglio, e soprattutto nell’affermazione carismatica del personaggio (elemento che fa tutt’uno, non a caso, con le specificità del pop in quanto genere).

Se Atlantide e i prossimi passi di Mengoni, da un punto di vista musicale ma anche performativo, videomusicale, nel look e nel fashion, saranno dettati dal tentativo di dimostrarsi più autore e “cantante all’italiana” sulla linea di Buona vita, allora potrà accontentarsi di un’affermazione fortunata quanto fugace; se invece è Voglio il perno della rinascita del cantante, allora Mengoni – al quale consigliamo anche di crearsi un nome d’arte – ha tutte le carte per lasciare un segno profondo nella storia della musica italiana.

Credit Foto: Panorama.it – Stylaz

 

Alessandro Alfieri è saggista e critico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma e si occupa di estetica dell’audiovisivo e cultura di massa. Tra le sue pubblicazioni Il cinismo dei media, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino e Lady Gaga. La seduzione del mostro.

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