Se “la filosofia occidentale è una serie di note a margine di Platone”, il calcio contemporaneo non è che una serie di note a margine di Rinus Michels. La pensano così i giornalisti di France Football, i quali hanno indicato Michels come miglior allenatore della storia del calcio. Come se non bastasse, nella classifica dei 50 tecnici più importanti di sempre stilata dalla rivista, il quarto e il quinto posto sono occupati dai due successori “diretti” di Michels all’Ajax e al Barcellona: Johan Cruyff e Pep Guardiola.  Al di là del Palmares, la grandezza sembra essere un fatto di eredità e di bellezza.

Dopo aver vinto alla guida dell’Ajax ed il Barcellona diversi titoli nazionali ed una Coppa dei Campioni, Michels è infatti famoso soprattutto per una squadra perdente: l’Olanda del mondiale 1974, sconfitta in finale dalla Germania Ovest di Beckenbauer e Muller. Michels è considerato l’inventore del calcio totale, più che un modulo o uno schema di gioco, un modo di intendere il calcio ed una precisa estetica del gioco. Ad oggi, quando si dice che una squadra esprime un calcio di “qualità” e gioca “bene a calcio”, molto spesso sta interpretando con successo i principi del calcio totale di Michels. Il riconoscimento di quel modo di giocare legittima il giudizio di valore, anche al di là dei risultati. Ma perché proprio il calcio totale è diventato norma di “ciò che è calcisticamente” il più “grande” o il “migliore”?  Perché il più grande non è semplicemente colui che ha vinto più trofei (cioè Ferguson, posizionato al secondo posto da France Football)?

Il calcio totale: il governo dello spazio

Nel libro Brillant Orange, David Winner definisce il calcio di Michels come la capacità di ri-plasmare lo “spazio” a proprio vantaggio. Il campo di gioco viene governato attraverso la fluidità della posizione dei giocatori: la squadra è un corpo armonico in grado di “aprire” e creare lo spazio in fase offensiva e di “chiuderlo” e negarlo in fase difensiva. Nel calcio di Michels il campo non ha dimensioni fisse. È così che concetti tattici come l’ampiezza del gioco sulle fasce, il pressing alto e la trappola del fuorigioco nascono e si sistematizzano con Michels. Per Winner si tratta di una concezione e di una estetica dello spazio radicata nella cultura e nell’arte degli olandesi:

“Per secoli gli olandesi hanno dovuto cercare nuovi modi di pensare, sfruttare e controllare gli spazi in una terra affollata e mangiata dal mare. Questa sensibilità è chiara nei dipinti di Vermeer, Saenredam e Mondrian ed è presente anche nell’architettura e nella gestione del territorio.”

I calciatori dunque non sono legati ad una singola posizione e al ruolo che ne deriva, ma hanno il compito di ridefinire la propria funzione in relazione alla singola situazione di gioco. Lo strumento che hanno a disposizione per modificare lo spazio è, ovviamente, il movimento, di sé e della palla. Per Michels il calcio è un insieme di movimenti volti a liberare o negare lo spazio per altri movimenti. Per questo motivo il gioco diventa “totale” ed ogni membro della squadra deve essere in grado, in linea di principio, di fare tutto. Il terzino deve poter arrivare sul fondo e crossare come l’ala accentrarsi e la mezz’ala ripiegare in difesa. Allo stesso modo il centravanti deve poter partecipare al gioco come trequartista e il centrocampista inserirsi in area di rigore. I due giocatori più rappresentativi dell’Olanda del ’74, Cruyff e Neeskens sono infatti calciatori dal ruolo indefinibile, solo con grande approssimazione avvicinabili rispettivamente ai grandi “falsi nueve” (Totti e Messi?) e ai centrocampisti “box to box” (Nainggolan e Pogba?)

Se nel calcio di Michels dunque la parole d’ordine è movimento, i suoi postulati sono la variazione della velocità e l’imprevedibilità. La disciplina tattica, la disposizione della squadra e il ritmo del movimento, può così creare le condizioni per la libertà del singolo che, finalmente libero nello spazio, può far esplodere tutto il proprio talento. Il calcio totale è, in fin dei conti, un calcio spettacolare, in cui si ha sempre la sensazione che qualcosa stia per accadere.

Il calcio spettacolarizzato: di nuovo un governo degli spazi

Oggi il calcio è prevalentemente spettacolo: gli stessi giornalisti di France Football fanno parte di un sistema mediatico incentrato sulla mediazione televisiva delle immagini calcistiche.  Se c’è un tratto che unisce il calcio di Michels e il calcio visto in televisione è, di nuovo, la possibilità di plasmare gli spazi del gioco. Ciò su cui agisce la regia televisiva non sono più gli spazi “in cui” si gioca, ma gli spazi in cui “si vede” il gioco. È lo spazio dell’inquadratura che viene continuamente manipolato, tra primi piani dei calciatori, dettagli, panoramiche, riprese dall’alto e dal basso e chi più ne ha più ne metta. È evidente come negli anni le telecamere puntate sul campo si siano moltiplicate, in una strutturazione visiva sempre più articolata del campo da gioco.

Non è allora un caso se il calcio totale di Michels sia diventato nel giudizio degli esperti il calcio per eccellenza. Questo “modo di giocare” e il “modo mediatizzato di mostrare” il calcio sono legati dallo stesso desiderio di dominio dello spazio e, dunque, dalla stessa attrazione per l’esasperazione del movimento e dell’imprevedibilità. È la possibilità di rappresentazione della spettacolarità che giustifica il giudizio sulla grandezza. È “migliore” un calcio che si presta ad una rappresentazione varia, cangiante, prospettica. Sembra una cosa quasi scontata, ma lo è solo nella misura in cui si è assuefatti al calcio-immagine televisivo. Del resto anche l’Italia di Dino Zoff fece, proprio in Olanda, cose grandiose…

 

Andrea Ferretti è laureato in filosofia con una tesi sul rapporto tra la crisi della democrazia e le nuove forme della comunicazione politica. È appassionato di calcio, folklori contemporanei e giochi di ruolo.

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